Sta cominciando il Festival Internazionale del Film di Roma, dal nome pleonastico e indigesto. Mediacritica lo seguirà, a modo suo, al solito senza alcun problema di clientele, favori, scambi, eufemismi o altro. Di sicuro non ci sentiamo particolarmente coinvolti dalla diarchia Venezia/Roma.
Detto che, almeno per tradizione e storia, la prima merita più del secondo, non per questo di conseguenza bisogna gioire del carrozzone lidense con tutti i suoi Ezio Greggio e Michelle Bonev a rovinare quanto di buono singoli selezionatori e singole sezioni stanno facendo nel corso degli anni.
Sì, perché è proprio lì che si possono giudicare i festival, negli anfratti, negli Orizzonti e negli Extra, nelle singole scelte e non nel diametro massimo. Tutto il resto è come cercare di dare un senso al mondo, che – come Vasco ricorda – un senso non ce l’ha. Il cinema di oggi è un caos totale, non ci sono movimenti ma solo autori, non ci sono idee ma solo formule, c’è solo un passato ma nessuno ne immagina un futuro, eppure gode di salute quasi sorprendente, e di cose da vedere – oggi che possiamo attingere a (quasi) tutto – ce ne sono a bizzeffe. I festival generalisti vengono ideologizzati e caricati di un carisma che non possiedono. Si può anche cercare di affermare che l’annata di un festival è buona o meno, ma a differenza dei vini, delle persone o delle squadre di calcio, ci sono troppe identità diverse e troppa abbondanza per individuarne un vero profilo. Tanto è vero che, esperienza comune a molti critici, è capitato di tornare da un festival avendo visto titoli tutti diversi da quelli di un collega. E dunque che idea si potrà avere se due persone hanno visto, letteralmente, due festival diversi?
Certo, Roma giochicchia parecchio su anteprime che in pochi giorni saranno in sala, ma che dire di Venezia che programma Mildred Pierce già passato sulla tv americana, come se fosse un’opera esotica e inedita? Certo, Roma parla al pubblico cittadino, mentre al Lido nessuno ci vorrebbe andare nemmeno morto se non fosse per la Mostra, però che cosa esattamente cambia nella scelta delle pellicole e degli ospiti?
Questioni di lana caprina, montature mediatiche e rancori politici (come quella Galan/Alemanno) umilianti, cui ci stiamo assuefacendo in maniera preoccupante. Occupiamoci dei film, va’, che è meglio.