C’era una volta, in un paese lontano, un Peter Pan “gotico”…
“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, così Ungaretti racconta i suoi Soldati, e così molte volte ci sentiamo noi, spaventati e atterriti, sul punto di cadere, degli Edward mani di forbice, diversi per stare con gli altri, incomprensibili e insopportabili anche per noi stessi; allora ci nascondiamo, imbellettandoci, di fronte agli altri siamo pagliacci pronti ad inscenare il Nostro Spettacolo.
Cheyenne, uno strepitoso Sean Penn, rockstar del passato, cinquantenne, si mostra nel momento della “costruzione” del mito/decostruzione del vero sé, rossetto e matita nera, occhi di un azzurro “demoniaco” e spaesato, pronto per farsi trapassare dalla giornata – “credo di essere un po’ depresso” – ma poi una notizia lo fa muovere, destandolo dallo spleen e dalla prigionia mentale che lo attanagliano: la morte del padre. Questo è This Must Be the Place – titolo di una canzone dei Talking Heads – l’ultimo film, il primo americano, di Paolo Sorrentino, in concorso all’ultimo Festival di Cannes. Non lo vediamo mai lavorare, l’unica occupazione è fare l’ex star, tutti lo riconoscono, ma nessuno sa chi lui sia realmente: John Smith. Passa le giornate a vagare per Dublino con un trolley – come la ventiquattrore di Le conseguenze dell’amore – pieno di rassegnazione, paura di crescere, di evolversi. La sua esistenza scivola tra il grottesco e il poetico; come fanno le cose sul suo strano corpo, mentre il mondo “normale” va in un’altra direzione, opposta alla sua – Cheyenne, come l’amica dark, triste e spaventata, con un dramma nel cuore (la scomparsa del fratello, fan della star) e tanti “dolori nella testa”, scende dalla scala mobile di un grande magazzino, mentre “il resto dell’Umanità” sale. Una moglie solida, vigile del fuoco – che cerca di “spegnere” i disagi di un uomo che vuole restare bambino, arroccato nella sua “ostinata” depressione -, pronta a capirlo, giustificarlo, ridimensionare i suoi nodi, attratta da lui e amante di tutto ciò che egli è, una Penelope che attende il suo Ulisse, costretto al viaggio – il nostro vuole scovare il nazista che ha torturato il padre e così ritorna al passato, leggendo le memorie del genitore, trovando documenti, un lager nazista, un male universale, che diventa il suo Male – per poter costruire un rapporto post mortem col padre e quindi scoprire se stesso. Rockstar o adolescente, Olocausto o qualunque altra tragedia, poco importa; Sorrentino ci regala un’opera perturbante, intensa, coinvolgente, percorsa da una solitudine malinconica che incatena e ci costringe ad una “terapeutica stasi”: Cheyenne ci offre la metamorfosi e la crescita e forse anche noi, usciti dalla sala, siamo un po’ più grandi, forse anche per noi This Must Be the Place.
This Must Be the Place [id., Italia/Francia/Irlanda 2011] REGIA Paolo Sorrentino.
CAST Sean Penn, Frances McDormand, Judd Hirsch, Simon Delaney, Eve Hewson, Shea Whigham.
SCENEGGIATURA Paolo Sorrentino, Umberto Contarello. FOTOGRAFIA Luca Bigazzi. MUSICHE David Byrne, Will Oldham.
Drammatico, durata 118 minuti.