Le conseguenze del cerone
Olocausto, e musica pop anni ’80. Due temi inconciliabili, a meno che a tirare le fila non ci siano Paolo Sorrentino e il suo sguardo surreale, amante del paradosso – logico, estetico, cinematografico – e della messinscena “obliqua”.
Il regista napoletano arricchisce la propria galleria di personaggi weirdo e bizzarri con Cheyenne, rocker in disuso che a 50 anni suonati continua ad acconciarsi come ai tempi d’oro: capelli gonfi di lacca, rossetto e cerone (in pratica un clone di Robert Smith dei Cure). This Must Be the Place è l’esordio americano di un autore europeo, e per quante argomentazioni poetico-filosofiche possano essere imbastite non va trascurato il suo carattere di “biglietto da visita”. Questa anzitutto è la presentazione di un artista che mostra il proprio lavoro e le proprie qualità a dei committenti importanti. Affondando a piene mani nella sua passione/ossessione per la scrittura “ad effetto”, Sorrentino ci guida attraverso una anomala caccia all’uomo, priva di razionalità e intrisa di sarcasmo. Lo stralunato e disincantato Cheyenne (che dopo un paio di scene mute esordisce con la frase “il pericolo è il mio mestiere”) abbandona la propria magione per andare alla ricerca dell’aguzzino nazista che ad Auschwitz torturò il padre. Ma la trama sembra davvero essere l’optional meno importante di questa storia, e la Tragedia affiora solo per squarci e deduzioni. Ciò che la cinepresa inquadra (e adora inquadrare) sono le parentesi, le soste lungo il “percorso” principale. L’indiano che chiede un passaggio e scende in pieno deserto, la cameriera triste con figlioletto obeso e idrofobo a carico, il broker nel ristorante giapponese: tutto è superfluo, inessenziale. La ricerca di senso è personale, e asseconda uno dei capisaldi del Sorrentino-pensiero, quello secondo cui ogni film dovrebbe essere una caccia smodata all’ignoto e al mistero. Pur tuttavia, mai come stavolta l’attenzione rivolta alla psicologia del protagonista rischia di minare il senso ultimo del racconto (un po’ come accade per l’esordio letterario del regista, Hanno tutti ragione, incentrato sui monologhi mentali di un cantante neomelodico). This Must Be the Place è fin troppo una creatura figlia del suo creatore, in cui gli stilemi di un’idea fortemente caratterizzata e caratterizzante di cinema vengono esaltati all’ennesima potenza da un lato per compiacere il mainstream hollywoodiano e dall’altro per dare la giusta importanza alla star di turno. Come per tutti i film di Sorrentino guardiamo e ammiriamo volentieri, ma per la prima volta lo facciamo con qualche sospetto.
This Must Be the Place [id., Italia/Francia/Irlanda 2011] REGIA Paolo Sorrentino.
CAST Sean Penn, Frances McDormand, Judd Hirsch, Simon Delaney, Eve Hewson.
SCENEGGIATURA Paolo Sorrentino, Umberto Contarello. FOTOGRAFIA Luca Bigazzi. MUSICHE David Byrne, Will Oldham.
Drammatico, durata 118 minuti.