Ci risiamo. È crisi. Da inizio settembre a oggi, le sale di prima visione hanno perso più del 30% di spettatori rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Le cause? Al solito: il sole, troppo intenso per questa fase dell’anno e dunque anche troppo più attraente dei film su grande schermo.
Poi: titoli di non grande presa, anche se in questo caso lo si capisce sempre troppo tardi che i vari Super 8 o L’alba del pianeta della scimmie non funzionano a dovere. Il successo di Puffi 3D – lo posso assicurare da genitore – ha come unica ragione il vuoto pneumatico di film per bambini da Kung Fu Panda 2 in poi (che è un film di agosto). A Mantova, durante gli Incontri d’Essai, si sono ascoltati flebilissime soddisfazioni per una percentuale non catastrofica delle sale d’autore, ma in un contesto generale di diffuso pessimismo (che le notizie sulla macroeconomia non contribuiscono certamente a dissolvere).
La verità è un’altra. Come testimoniamo noi stessi di Mediacritica grazie al nuovo spazio Film History (dedicato, lo ricordiamo, ai film della storia del cinema programmati sulle reti e sui canali di tutte le piattaforme possibili), l’offerta cinematografica è diventata monumentale. Il digitale terrestre è giustamente criticatissimo ma intanto ha moltiplicato il numero di pellicole, già enorme, disponibile. Il cinefilo che poi avesse, come il sottoscritto, tutti ma proprio tutti gli abbonamenti possibili e le registrazioni ai Vod della cinefilia internazionale (da Mubi a tutti gli altri), si troverebbe con circa 500/600 film al giorno a disposizione.
Quantità, si dirà. E la qualità? Appunto. Qualità della sala vuole dire molte cose: più coraggio e flessibilità nei prezzi e nelle programmazioni, più versatilità nell’immaginario americano e italiano, maggior certezza sulla bontà della proiezione (il digitale 2k sta finalmente imponendosi al meglio), rapidità nella distribuzione (lo schiaffo a J.J. Abrams dato dal nostro pubblico è quasi tutto imputabile al ritardo di uscita e al fatto che il film lo avevano visto anticipatamente in migliaia on line), abbonamenti alla francese (competitivi, da 35 euro al mese “all you can see”, non come le stitiche card dei nostri multiplex) e sinergie più intelligenti con i social network. Il problema è che, se andate a una convention con i distributori ed esercenti italiani (esclusi pochi illuminati), vi sentirete dei modernisti precipitati in una comunità stile The Village. Speriamo che, a differenza del film di Shyamalan, i mostri non esistano davvero e non facciano fuori tutto il sistema.