Fuori Orario, Rai Tre, domenica 9 ottobre, ore 1.35
Another brick in the wall
Il numero dei suoi film sfiora quota 90. E vi si aggiungono pubblicazioni e installazioni. Ma se pensate che la quantità sia incompatibile con la qualità, non conoscete Harun Farocki.
L’elenco delle sue opere è reperibile sul suo sito internet: un asciutto muro alfabetico che, dietro ogni lettera, nasconde un mondo di titoli. Documentari eterogenei per temi e linguaggi, squisitamente autonomi e tuttavia attraversati da elementi ricorrenti, ogni volta ricontestualizzati e funzionali a una diversa analisi. Non si tratta di una coerenza monotona ma di una logica sottesa che rende organico il suo percorso – e non è poca cosa, considerandone la vastità. L’abilità sta nel riproporre, in infinite declinazioni, un’indagine a partire da una forma, un oggetto/pretesto, che innesca riflessioni più generali sul lavoro, sull’ingegno e la manualità, sul prodotto di questi, concreto o immateriale, e sul rapporto che tutto ciò intrattiene con la storia e le società dell’uomo. E’ una tecnica di ripetizione/variazione che non ha niente di ossessivo e sfocia in risultati sorprendentemente originali. In questo senso, In Comparison (2009), recentemente trasmesso da “fuori orario”, si presenta come sintesi perfetta di una ricerca già in nuce in molti dei film precedenti. Protagonista, stavolta, è il mattone, simbolo per eccellenza della costruzione e, al contempo, vera e propria unità di linguaggio. Di sequenza in sequenza, Farocki ne mostra realizzazione e impiego in diversi luoghi del pianeta- Africa, Asia, Europa – con differenti livelli di tecnologie e di industrializzazione, senza alcun commento se non quello di brevi didascalie che ne illustrano l’evoluzione. Dai colori accesi del Burkina Faso, dove alla povertà dei mezzi sopperisce la vitalità di una comunità corale e collaborativa, al silenzio immoto delle montagne svizzere, passando per il grigiore dei cantieri indiani, ai margini di bianche città in espansione, e il riflesso metallico delle officine francesi e tedesche. Alla progressiva moltiplicazione del prodotto- sempre più seriale, sempre più complesso- corrisponde un’evidente automatizzazione del lavoro che, se risparmia tempo e fatica, conduce tuttavia a una solitaria alienazione. Il ritmo incessante dei bracci meccanici, l‘intento viavai di catene umane, fino all’incalzare dei tamburi africani illustrano lo scarto tra il lavoro post-indutriale, specializzato e parcellizzato, e i suoi antipodi tradizionali, in cui costruire una scuola ha ancora un carattere rituale e comunitario. Non mancano momenti di pura suggestione, come il forno di mattoni rossi in cui cuociono altri mattoni, grotta ardente e luminosa nella notte azzurra dell’India. Farocki li lascia emergere sapientemente, tra la curiosità di un dettaglio e impassibili campi lunghi, in un’analisi dell’uomo che parte letteralmente dalle fondamenta.