Superdotato, che fortunato!
Sorta di remake del film omonimo del 1991, Sex and Zen 3D ne condivide parte della trama e la sostanziale inutilità, acquistando nella confezione esportabile da anonimo prodotto commerciale quel che perde in genuinità ed ingenuità, in confronto al prototipo, che era in fondo, semplicemente, un simpatico esempio di exploitation hongkonghese.
Il protagonista è sempre un giovane erotomane, frustrato a causa delle scarse dimensioni del proprio pene. Qui, però, soffre anche di eiaculazione precoce, con il disappunto della moglie. La soluzione più ragionevole – come non pensarci? – è quella di farsi trapiantare un membro equino, per allontanare ogni complesso. La sequenza del trapianto dura meno che nel film originale, la cui scena cult, cioè quella delle acrobazie acquatico-genitali nella tinozza da parte della coppia olimpica moglie-giardiniere, nel remake è omaggiata frettolosamente. All’erotismo compiaciuto ed estetizzante del primo Sex and Zen, si sostituiscono, per giustificare solo in parte l’utilizzo del 3D, momenti di azione violenta, con l’ovvio lancio di pugnali, pallottole e di una pergamena di ceramica verso lo spettatore. Per divertire un pubblico poco esigente, i dialoghi sono ricchi di doppi sensi scontati e il doppiaggio italiano di sicuro non aiuta. Per respingere eventuali accuse di stupidità, che a dire il vero non sarebbero campate in aria, il film cerca di mostrarsi come un’operazione consapevole, parodica, ironica nei confronti degli stereotipi e dei ruoli tipici del cinema di genere. I momenti sentimentali, melodrammatici sono volutamente enfatici nella recitazione e nel tono delle battute, diventando così ridicoli ed eccessivi. Cinema leggerissimo, senza pensieri e senza pensiero, che unisce un erotismo prudente, lontanissimo dall’oscenità del porno, a una comicità di grana grossa e a banali combattimenti. Fastidioso e immotivato l’uso di flashback e ralenti a sproposito. Sex and Zen 3D è, quindi, un ibrido privo di forza, pensato apposta per conquistare un vasto pubblico. Riuscendoci, almeno in patria.