Non series
Partiamo dal principio: cos’è Glee? Tanto per cominciare, Glee è una serie tv creata da Ryan Murphy (l’autore di Popular e Nip/Tuck) su un manipolo di teenager ipersfigati che, guidati e incoraggiati da un professore gonfio di stucchevole ottimismo, decide di fondare un “Glee Club”, cioè un gruppo di canto corale (ovvero, qualcosa di ancora più sfigato di tutti loro messi insieme) e di lanciarsi alla ricerca di se stessi (e di premi nelle competizioni), continuando a farsi insultare dal resto della scuola.
O anche: Glee è un serial prodotto dalla Fox giunto alla sua 3° stagione (in Italia viene trasmessa su Fox Life dal 28 settembre, con una puntata sottotitolata 24 ore dopo la messa in onda Usa, e doppiata una settimana dopo) costruito su momenti musical, durante i quali i protagonisti (attori/cantanti/ballerini) reinterpretano grandi hit del passato e del presente (le canzoni originali arrivano solo negli ultimi episodi della stagione 2), più o meno funzionali allo svolgimento della trama. Oppure: Glee è anche il Glee Project, un talent show proposto, sempre su Fox, nei mesi estivi, nella pausa tra una stagione e l’altra della serie, durante il quale numerosi aspiranti membri del Glee Club si sono sfidati a colpi di acuti e mosse danzerecce per guadagnarsi un posto nella nuova stagione del telefilm. O ancora: Glee sono le compilation che raccolgono, a intervalli di qualche mese, le migliori performance canore del serial, mix di cover in chiave corale che balzano immediatamente in testa alle top ten, così come i brani interpretati dai membri del Glee Club nell’episodio del mercoledì si ritrovano immediatamente alla posizione numero 1 di iTunes il giovedì. E anche: Glee The 3D Concert Movie è un film concerto in stereoscopia che documenta il tour americano dei medesimi attori/cantanti/ballerini e l’effetto che fa sui loro fan sfegatati. In Italia è stato un evento durato cinque giorni, dal 16 al 20 settembre, nelle sale dei cinema The Space. Si potrebbe continuare (per esempio parlando dell’enorme successo di pubblico e di certa critica, soprattutto in Usa, o del fatto che i ragazzi del Glee Club si siano esibiti al SuperBowl e anche alla Casa Bianca, per la gioia di Sasha e Mahlia Obama, o ancora di quanto sia vero che l’enorme popolarità di Glee tra i teenager aiuti nella battaglia contro il bullismo) ma, forse, a questo punto, bisognerebbe mettere il lettore in guardia su un fatto: Glee non è, davvero, una serie tv. Con la sua estetica confetto dai colori pop, le continue strizzate d’occhio metatestuali (decisamente supponenti: il concetto di fondo è “stiamo facendo palate di soldi, per cui se anche voi ci dite che facciamo schifo ce ne freghiamo”), le puntate evento dedicate a star della musica (imbarazzante quella su/con Britney Spears), gli espedienti sempre più gratuiti e nonsense per giustificare il “tema canoro della settimana”, Glee ha perso lentamente la misura del confine che separa scripted e unscripted series (le prime sono le serie di fiction, le seconde sono i reality, i talent, le docufiction, etc.): raccontare una storia. Una storia più lunga, articolata e complessa delle tante piccole e frantumate storie personali che si possono ascoltare intervistando i partecipanti ad American Idol. Le storie di Glee sono ormai del tutto casuali e slegate tra loro, fuori controllo, meri pretesti per dar modo ai protagonisti di interpretare questa o quella canzone. Non è la buffa e surreale casualità di Popular (l’altra serie liceale di Ryan Murphy, durata due stagioni): lì i continui capovolgimenti di trama e personaggi davano il segno di un affresco assurdo, erano l’esasperazione di una realtà – l’adolescenza nelle high school americane – che vive di contraddizioni estreme, di sbalzi tra superficialità e profondità e, anche, di sofferenza. La casualità di Glee risulta più fastidiosa perché rende evidente che l’unico disegno che tenti di governarla è quello di spremere all’inverosimile un giochino che funziona. L’elemento narrativo è un puro e semplice accessorio, uno specchietto per le allodole per vendere più dischi. Fare sempre più soldi, finchè si riesce. E’ il capitalismo, bellezza (e la televisione, soprattutto quella in chiaro, è molto più “industria” del cinema o del via cavo). Certo, guardare Glee come un puro e semplice susseguirsi di esibizioni, coreografie e musica, anche divertendosi, si può (e, a questo punto, si deve). Però, ecco, si può anche cambiare canale. Magari sintonizzandosi su qualche talent show di quelli fatti bene, come So You Think You Can Dance o, per l’appunto, American Idol.
Glee [id., USA 2009] IDEATORI Ryan Murphy, Brad Falchuck, Ian Brennan.
CAST Matthew Morrison, Lea Michele, Jane Lynch, Cory Monteith, Chris Colfer.
Teen-Musical Drama, durata 40 minuti (episodio), stagione 2.