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(attenzione – Spoiler nel testo)
Il paragone con il capostipite dei telefilm dell’assurdo qual è stato X-Files è d’obbligo. Visto anche il proseguo della terza stagione, conclusasi a maggio oltreoceano (e ora in onda in Italia), Fringe si presneta come una serie che va sempre più in crescendo.
Anzi, quando solitamente, passato l’impeto della novità, una serie tende a stabilizzarsi su un certo livello, momento in cui arriva l’inevitabile bivio tra le serie che funzionano e quelle che invece, quando verranno cancellate, lasceranno orfani ormai pochi spettatori, Fringe opta per una scelta forse un pò azzardata: punta senza guardarsi indietro, sull’assurdo in ogni suo aspetto – mettendo a dura prova la razionalità di noi umani – e compensa il rischio con una totale accuratezza per i dettagli. Ce ne accorgiamo già dalla fine della seconda stagione, quando scopriamo che esistono due mondi paralleli, perfettamente speculari, anche nei personaggi che li vivono, e iniziamo a osservare tutti e due i mondi all’interno della serie. Per fare questo Fringe si divide in due e, per aiutare lo spettatore nel passaggio, decide di usare due sigle, perfettamente identiche come i mondi ma che si differenziano per il colore. La sigla blu, che ha accompagnato la serie dall’inizio, rimane a identificare il “nostro” mondo, quella rossa indica invece che ora stiamo osservando il mondo parallelo, fino all’ottava puntata della terza stagione in cui i due colori si mescolano come le storie dei due universi. Anche se gli escamotage per comprendere dove ci troviamo non si limitano alla sigla, già dalla seconda stagione ci vengono raccontate le piccole differenze “universali”, l’uso del’Empire State Building come attracco per i Zeppeling (nato effettivamente con questo scopo ma poi nel mondo che noi conosciamo sono decaduti come mezzo di trasporto) che riempiono il cielo del mondo alternativo, la presenza delle Torri Gemelle intatte e la Statua della Libertà che muta colore diventando marrone quando si passa “dall’altra parte”. Ma i cambiamenti non si fermano solo a questo, quando la puntata si differenzia dalle precedenti, lo spettatore viene avvertito sempre attraverso la sigla; così era accaduto nella seconda stagione per un racconto ambientato negli anni ’30 e così accade nuovamente nella nuova stagione (episodio 15) dove si racconta uno dei momenti cruciali della storia dei Bishop, quando Peter era ancora un bambino di otto anni, e la sigla si trasforma e assume un tipico stile anni ’80. Infine, nell’ultima puntata della terza stagione, tutto cambia e si evolve e la sigla diventa di colore grigio cenere nonprospettando nulla di positivo… Lungo l’intera serie lo sbalorditivo soprannaturale e l’inquietante presenza di personaggi misteriosi, provenienti da chissà dove, rappresenta il filo d’Arianna di tutte le singole puntate. Sul finire della seconda stagione, però, s’insinua con sempre più prepotenza l’idea della presenza di un mondo parallelo al nostro, idea che diventa la base del proseguo della serie all’interno della terza stagione. Il concetto di “doppio”, tanto cara alla cultura americana, in Fringe si sviluppa attraverso personaggi speculari a quelli da noi già conosciuti (abbandonando la quindi solita scontata idea degli alieni), che percorrono la loro esistenza in modo diverso ma simile, influenzati da ovvie diversità culturali e sociali. Ci troviamo quasi davanti a un “moderno” Attraverso lo specchio (1871, Carroll), nella prima parte della stagione, letteralmente similare al romanzo di Carroll. Infatti il nostro Walter Bishop osserva realmente “Walternativo” attraverso uno “specchio” capace di aprire una breccia nell’altro mondo. In seguito attraversare lo specchio diventa causa ed effetto di ogni azione perpetuata dai personaggi – doppi non più psicologicamente, ma praticamente trasformati in coppie. Solo il personaggio di Peter Bishop rimane unico in tutta la serie. Altri due elementi fanno di Fringe un prodotto assai prodotto curato e attento: la musica e il citazionismo cinematografico. L’utilizzo della musica diegetica è costante e attento, dalla passione di Walter Bishop (John Noble) per la lirica a figure secondarie che ascoltano i Doors, in una costante colonna sonora creata dagli stessi personaggi. Le ricercate citazioni cinematografiche sono a volte anche molto esplicite, come per esempio quando l’altro Charles che per parlare di un taxista cerca di far intuire Taxi Driver al collega citando la frase più famosa recitata da De Niro, oppure quando Walter di fronte a un oggetto misteriosamente scomparso e sconosciuto dice una sola parola: Rosebud. Forse questa attenzione spasmodica ai dettagli è presente anche con l’intento di sopperire ad alcune mancanze che la sceneggiatura porta con sé. È infatti l’elemento più debole; ancora più problematico nella terza stagione in cui è necessario convincere lo spettatore della plausibilità del racconto che gli viene proposto. In alcuni momenti l’obiettivo viene palesemente eluso. Un’ulteriore caratteristica della serie risulta essere un esperimento unico nel suo genere. Si tratta infatti dei “gilfi” cioè immagini luminose su sfondo nero che vengono inserite all’interno delle puntate prima dallo stacco pubblicitario. Queste immagini nel loro insieme creano un codice di comprensione apparentemente inesistente. Lo stesso produttore J.J. Abrams parla di un “codice dei gilfi” che aiuterebbe la comprensione dell’intera serie, codice decifrato oltreoceano da un gruppo di fan estremamente agguerriti. Purtroppo, per motivi sconosciuti, queste immagini sono andate perse nella trasposizione nostrana, negando così, agli spettatori italiani, questa particolare esperienza. Nonostante questa mancanza e nonostante alcune scelte ardite di plot, che corrono il rischio di ricadere nell’inverosimile al punto da far perdere interesse, lo spettatore segue incessantemente il susseguirsi delle puntate chiedendosi solo come andrà a finire. Bisogna solo aspettare per capire.
Fringe [id., USA/Canada 2008] IDEATORI J.J. Abrams, Alex Kurtzman, Roberto Orci.
CAST John Noble, Anna Torv, Joshua Jackson, Lance Reddick, Jasika Nicole.
Fantascienza, durata 45 minuti (episodio), stagione 3.