“Ci diciamo molto quello che di male facciamo, poco quello che di buono facciamo”
È questa una frase tratta da uno dei protagonisti di Pasta nera, trasmesso martedì scorso su Rai Storia e già in concorso alla 68° mostra del Cinema di Venezia nella sezione Controcampo italiano, è un documentario di Alessandro Piva che racconta una storia di solidarietà inaspettata nell’Italia del dopoguerra.
Piva costruisce il suo documentario attraverso le testimonianze di alcune delle persone coinvolte in un progetto poco conosciuto: nell’immediato dopoguerra, quando la fame attanagliava in particolare le famiglie del sud Italia, alcune illuminate persone della sinistra comunista organizzarono una “piccola migrazione” per alcuni bambini sfortunati, che poterono trasferirsi in famiglie dove il pane per lo meno non mancava, in particolare in Emilia Romagna.
I bambini che parteciparono al progetto furono in realtà moltissimi, più di 70.000. Seguendo la storia a partire dalle voci dei diretti interessati (ospiti e ospitanti) riviviamo i momenti salienti di quell’esperienza, che ci introduce a un’Italia ormai a noi sconosciuta, assolutamente solidale, dove le differenze di provenienza sociale, o politica, non avevano una grande importanza. La diffidenza però non mancava, ricorda qualcuno scherzando: “Andate in Alta Italia? Attenti, che quando arrivate i comunisti vi trasformano in sapone!”.
I bambini erano i primi a non aver paura di intraprendere una nuova strada, di andarsene da un luogo dove la fame era di certo fin troppo conosciuta. C’è chi ricorda con nostalgia il primo viaggio in treno, la vista del mare per la prima volta o finalmente la pagnotta fresca nel piatto. E questi bambini, simbolo di un’Italia dove tutto era ancora possibile (anche perché ormai si era già visto tutto il peggio) sono gli stessi che non avranno paura a scegliere magari di tornare a casa, o magari egoisticamente di non farlo, per godersi delle condizioni di vita migliori.
La pasta nera, il pane dei poveri, è dunque un titolo simbolico che il regista ha voluto usare per chiarire l’intento della sua opera, che oltre alle interviste dei diretti protagonisti della vicenda, alterna varie immagini di repertorio, costruendo un racconto molto nostalgico, di un paese allora distrutto ma con tanta voglia di ricominciare. Ne avremmo bisogno ancora.