Jonathan Demme Festival, 17-30 settembre 2011, Cineteca di Bologna
Un regista libero
Reduce dalla retrospettiva integrale che gli ha appena dedicato il Milano Film Festival, un sorridente e spiritoso Jonathan Demme presenta con entusiasmo al pubblico bolognese del cinema Lumière il suo documentario Neil Young Life. E risponde accuratamente alle domande di Gianluca Farinelli sulla sua straordinaria carriera di regista libero da schemi e conformismi.
Com’è iniziata la sua carriera di cineasta?
Ero ossessionato dal cinema sin da giovanissimo, ma studiavo per diventare veterinario. Però fui bocciato all’esame di chimica. Ero anche al verde in quel periodo, non avevo neanche i soldi per andare al cinema. Così, mi offrii volontario come critico cinematografico del giornale dell’università. In seguito, fui assunto come publicist per una società di produzione cinematografica e conobbi Roger Corman, che mi convinse prima a scrivere uno script e poi a fare il produttore. In seguito mi propose di passare alla regia. Io ero indeciso, ma lui mi invitò a pranzo e in pochi minuti mi bombardò di consigli, che si rivelarono utilissimi. Mi insegnò, per esempio, a non annoiare lo spettatore, a coinvolgerlo visivamente attraverso una sapiente scelta dei movimenti di macchina e delle inquadrature.
Quali sono stati i film e gli autori determinanti per la sua scelta di diventare regista?
Un film di Giovanni Fago intitolato O’ cangaceiro, ma ho rubato molto anche da Mean Streets di Scorsese e Il conformista di Bertolucci. Di quest’ultimo ho cercato invano di rifare la sequenza della morte di Dominique Sanda, nel mio The Manchurian Candidate…
Dopo Il silenzio degli innocenti ha girato un piccolo film come Mio cugino, il reverendo Bobby. Quant’è stata difficile la scelta etica di non diventare un regista mainstream?
Devo a mia madre tutto ciò che faccio di etico. Detto questo, ho semplicemente approfittato dell’incontro con Bobby per sopperire alla mancanza di immagini positive degli afroamericani nei media. Non so come si fa un blockbuster, non potevo prevedere che Il silenzio degli innocenti avrebbe incassato tanto. Io faccio film solo se sono coinvolto da una storia, un libro, una persona. Non faccio formula movies.
Come riesce a far recitare i suoi attori in ruoli molto diversi dai soliti?
Scelgo attori che si prendono la responsabilità del loro lavoro. Sul set si deve essere felici di lavorare e tutti devono essere al servizio degli attori. Io concedo loro di provare qualsiasi idea, in cambio chiedo la stessa libertà.
Rachel sta per sposarsi sembra un film di finzione girato da un documentarista…
L’ho girato con Declan Quinn, che aveva già lavorato con me ad alcuni documentari. Lo stile del film è documentaristico, infatti. Nessuno sapeva cosa sarebbe successo, cosa sarebbe stato filmato. Gli attori erano completamente liberi e in fase di montaggio non abbiamo cercato una perfetta continuità delle immagini.
Ha seguito tanti musicisti nelle loro esibizioni: come fa a raccontare così bene la musica attraverso le immagini?
Ho capito sin dai tempi di Stop Making Sense che allo spettatore non piace vedere inquadrato il pubblico presente ai concerti. E che bisogna riprendere da diversi angoli i musicisti, per evidenziare le dinamiche tra loro, durante la performance. Infine, è necessario ridurre gli stacchi di montaggio allo stretto necessario.
Com’è nato il rapporto con Neil Young?
Dopo che Neil ha scritto la canzone omonima per Philadelphia, siamo diventati amici e mi ha chiesto di girare un film su Greendale. Ma ero troppo impegnato, così successivamente ho accettato di farne uno su Prairie Wind, seguito da Neil Young Trunk Show e da Neil Young Life.
Ha incontrato per anni Carolyn Parker a New Orleans, senza poter essere sicuro che ne avrebbe ricavato del materiale buono per un documentario…
Ho voluto recarmi anch’io a New Orleans dopo l’uragano Katrina, con la mia videocamera. In un anno ci sono stato quattro volte, per gli abitanti la situazione purtroppo non migliorava, ma ho conosciuto Carolyn e altre persone che avevano voglia di parlare. Così, ci sono tornato ancora, finché siamo arrivati a un punto e ho potuto realizzare I’m Carolyn Parker: The Good, the Mad and the Beautiful, che sarà il primo di quattro film che girerò a New Orleans.