68a Mostra del Cinema di Venezia, 31 agosto-10 settembre 2011
Mettere in scena se stessi
Storia di un’ossessione, questo compare all’inizio di Wilde Salome, documentario che ci mostra la messa in scena dell’opera da parte di Al Pacino.
All’interno del film, presentato fuori concorso durante la 68a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il grande attore italo-americano ricopre il triplice ruolo di regista teatrale, cinematografico e attore.
Infatti più che un documentario sulla messa in scena di Salome e della storia che l’accompagna, Wilde Salome, sembra essere più una pellicola che intende delineare il personaggio di Al Pacino lontano dai riflettori. Se escludiamo la prima parte, molto pedante e poco interessante che narra la storia e le opere di Oscar Wilde, tutto il resto del documentario ci mostra l’enorme ossessione che il protagonista ha nei confronti dello scrittore irlandese, senza che però quest’ultimo diventi mai protagonista.
La figura di Al Pacino fin da subito divora tutto quanto, facendo sembrare il film un’operazione poco spontanea. Del resto è difficile pensare ad un’ossessione così razionale e poco impulsiva, e il fatto stesso di realizzare un documentario che racconti la fissazione dell’attore/regista sembra sottolineare il fatto di come in realtà tutto sia stato ben architettato in precedenza.
Assistiamo quindi a una docufiction invece che a un documentario come si voleva far credere inizialmente; lo stesso Al Pacino, lontano dai riflettori che vediamo nelle riprese, ci appare come un personaggio fortemente stereotipato, sembra quasi assistere all’interpretazione dell’artista solo contro tutti, che lotta per l’affermazione della propria opera. La sensazione è quella di una generale premeditazione.
Ma se da un lato il personaggio di Al Pacino è fin troppo invadente, ciò che funziona in Wilde Salome, oltre che alla prova attoriale di Jessica Chastain che interpreta la protagonista e dello stesso Pacino che ricopre il ruolo di Erode, è la sequenza in cui vediamo la rappresentazione teatrale ibridarsi con elementi cinematografici. Questa, infatti, è inserita all’interno di una cornice fortemente teatrale, la scenografia e l’intero spazio sono quelli di un teatro, unita invece all’utilizzo di un linguaggio cinematografico, i differenti piani di ripresa e di montaggio, risultando così essere la parte più convincente dell’intera pellicola, non solo per la fattura generale, ma anche per il fatto di riuscire a combinare due specificità così diverse ma senza che nessuna delle due perda la propria singolarità.
In definitiva Wilde Salome si pone come prodotto ibrido e difficilmente classificabile ma allo stesso tempo intrigante, nel quale a prevalere non è chiaramente l’opera scritta da Oscar Wilde ma solamente la figura di Al Pacino che utilizza il testo teatrale per mettere in scena invece che sé stesso la rappresentazione di un suo nuovo personaggio.