Affluiscono i primi dati della nuova stagione. E non sono confortanti. Secondo quasi tutti gli analisti la fiacchezza del botteghino è dovuta per lo più a questa estate infinita: gli insperati weekend da spiaggia anche a metà settembre, al solito, fanno fuggire gli spettatori dalle sale.
Si aggiunga che il cattivo esito di Super 8, assai al di sotto delle aspettative, era prevedibile visto il ritardo con cui il film è uscito in Italia, insensatamente rimandato da giugno a settembre, con conseguente visione anticipata on line da parte degli impazienti.
Un dato, però, si riconferma da alcuni anni. I film da Venezia non attraggono. Segno che tutta la grancassa mediatica dal Lido non scuote più di tanto il pubblico cittadino, una volta spente le luci della kermesse. Le pellicole italiane, in particolare, sembrano anzi penalizzate dal passaggio al Lido. Anche in questo caso, una breve analisi di marketing, per esempio, su Cose dell’altro mondo porta a pensare che il potenziale del film, sempre che ci fosse, sarebbe stato enfatizzato maggiormente da un lancio autunnale attraverso media tradizionali che non dal pastrocchio trailer web più presenza veneziana di queste settimane. Non è tuttavia da queste strategie di corto respiro che si dovrebbe misurare l’impatto del consumo cinematografico sul paese. Venezia da tempo non funziona più come garanzia, è una questione di carisma. Che rischia di attutire quanto di buono – a quanto pare molto – c’è negli anni più felici, come questo. La pianificazione delle uscite, infine, non aiuta, con un pigia pigia a settembre e quindi una distribuzione vaga e casuale per il resto dell’anno. Attendiamo i risultati di Cronenberg e Polanski, su cui distributori ed esercenti puntano molto, per capire se la mancanza di allori avrà avuto o meno un peso, o se in generale questi autori possiedono un loro pubblico indipendentemente dai festival a cui hanno preso parte.