68a Mostra del Cinema di Venezia, 31 agosto-10 settembre 2011
Lo stato delle cose
Un umorismo strano e minimale quello di Hahithalfut (The Exchange), film in concorso a Venezia 68 e diretto dal regista israeliano Eran Korilin.
L’umorismo del film è realizzato grazie alla sottrazione degli elementi comici assieme a una regia controllata ed estremamente asciutta, ridotta al minimo delle sue possibilità. Nonostante tutto, Korilin, è capace di esaltare il lato più ridicolo delle situazioni con l’uso di pochissimi elementi: l’immobilità della macchina da presa, l’impassibilità del protagonista e i lunghi tempi di ripresa diventano i mezzi principali dell’effetto comico nella pellicola.
Tutta la vicenda ruota attorno alle stranezze compiute dal protagonista in seguito alla visione della propria abitazione durante l’orario di lavoro, questa visione, che gli apparirà del tutto inedita, lo porterà a rendersi consapevole della coesistenza delle cose anche all’esterno della sua vita, scandita dalla solita routine.
La decisione del personaggio di compiere una serie di azioni fuori dall’ordinario (tra le tante ricordiamo quando si osserva allo specchio con i pantaloni calati, urla contro gli appartamenti vuoti, compra oggetti che non gli servono, si chiude in un rifugio anti-bombardamento per una notte…) mostrano la volontà di rompere la quotidianità che imprigiona la sua vita, gli atti metodici di fatto rendono la sua esistenza un eterno ripetersi di azioni senza senso. Buttare per terra un fermacarte, lasciandolo poi sul pavimento, riaccende nel protagonista un atteggiamento fanciullesco, ormai perduto, abbinato a uno sguardo capace di accorgersi dell’importanza delle sue azioni all’interno del mondo in cui vive. Il piacere di riscoprire “l’azione” è per il protagonista un ritorno all’infanzia e alla capacità di osservare il mondo con gli occhi impressionati di un bambino, dove tutto ciò che ci circonda assume importanza e allo stesso tempo ogni nostro singolo gesto perde di valore agli occhi degli altri.
Solo in questa condizione l’uomo è capace di superare il trauma di un’esistenza precaria. Il film ambientato in Israele mostra i segni del perenne conflitto con i palestinesi, e solo grazie a questa ritrovata innocenza si può considerare il rifugio anti-bombardamento come un luogo di svago e non più come simbolo di pericolo e distruzione.
L’esistenza di questo popolo convive con una perenne condizione di paura e minaccia, ma, nonostante questa permanente angoscia sia sempre presente, si può ancora sperare in un’esistenza pacifica e spensierata grazie a uno sguardo vergine nelle cose e capace di riscoprire le nostre azioni nel mondo.