Nuovomondo italiano nel mare di Crialese
Vince il Premio Speciale della Giuria alla 68a Mostra del Cinema di Venezia l’ultimo film di Emanuele Crialese, Terraferma. Girato a Linosa, il film allude chiaramente all’isola di Lampedusa, emblema di quel “nuovomondo” che l’Italia è oggi diventata.
Lì vivono Filippo (Filippo Pucillo) e sua madre Giulietta (Donatella Finocchiaro), giovane vedova che vorrebbe far crescere il ragazzo in un ambiente diverso, lontano da quel mare che le ha portato via il marito. Con loro vive anche il nonno Ernesto (Mimmo Cuticchio), anziano pescatore fedele al codice del mare, con il quale un giorno, durante una battuta di pesca, Filippo si trova a soccorrere una donna clandestina incinta (Timnit T.) ed il suo bambino. Diversamente dalla legge dello stato e da quella del mercato (punti di vista cui danno corpo rispettivamente i personaggi di Claudio Santamaria e Beppe Fiorello), la legge morale del mare impone apertura, soccorso e solidarietà. Ed è quello che Ernesto non esita a fare, nonostante le conseguenze legali del suo gesto.
Quarto lavoro in 14 anni di carriera (dopo l’esordio alla regia con Once We Were Strangers insieme a Vincenzo Amato, nel 1997, fino agli intensi Respiro e Nuovomondo), più che di terra, è di mare che il regista ci parla. Perchè, come sempre del resto, i film di Crialese sono creature anfibie, sospese fra due dimensioni. Protagonista assoluto, il mare è l’entità che tutto avvolge e pervade, che tutto satura e riempie. Da un lato permettendo la vita sull’isola (i pescatori, lo si ricorda più volte, vivono essenzialmente grazie al mare), dall’altro dispensando anche la morte. Sbatte corpi stremati, vomita cadaveri il mare in Terraferma. Come navi di vetro smarrite in un oceano di terrore, gli uomini-clandestini, i turisti e gli isolani, sono esseri minuscoli e fragili al suo cospetto: tutti, allo stesso modo e diversamente, parte di un’unica grande tragedia. Continuamente alla ricerca di nuovi spazi, i confini della poetica del regista romano restano difficilmente individuabili, perchè è soprattutto la fluidità la sua particolare cifra stilistica. E così come i personaggi, anche le storie scorrono, (con)fluiscono, travolgono. Senza mai trovare un approdo ma nuove partenze, nuove direzioni.