I misteri che infiammano le attese
Nella piccola cittadina di Lillian ci si prepara a una grande estate. Il 1979 si sente nelle hits rock, nei nuovi walkman che suonano Heart of Glass e My Sharona. L’amicizia tra i ragazzi, i primi amori preadolescenziali e la passione per il cinema innescano un meccanismo narrativo incisivo e divertente.
La parte iniziale è il vero motore del film: Abrams fa un tuffo nella sua infanzia e ricrea magicamente l’atmosfera spensierata di quella fantascienza della metà degli anni ’80, facendo tornare alla mente I Goonies di Richard Donner e i film di Joe Dante. Funzionano le musiche del fidato Michael Giacchino che hanno un ruolo importante nell’enfatizzare malinconicamente le vicissitudini dei protagonisti. Non mancano le citazioni agli horror di Carpenter e Romero.
Se l’operazione “nostalgia” convince soprattutto chi è cresciuto con i registi succitati, quello che delude un po’, dopo mesi di campagna pubblicitaria che puntava a infittire il mistero sulla trama, è lo sviluppo successivo della storia. Dietro ai giovani attori che reggono la scena, ciò che fa da contorno ruota intorno a un copione convenzionale in cui soprattutto gli adulti, confinati in ruoli tradizionali e stereotipati (i padri, l’esercito), non danno spessore ai loro personaggi. Il film perde d’intensità così come la suspense, che aumenta all’inizio dell’avventura intorno al misterioso carico del convoglio deragliato per poi indebolirsi troppo presto man mano che il “segreto” viene svelato. Il creatore di Lost – allo stesso modo di quanto aveva già fatto nella popolare serie tv – inizialmente si impegna a rivelare il meno possibile. La sua è quasi un’ossessione convinto che “i mostri sono come i segreti che la gente non vuole veramente conoscere, perché c’è qualcosa di meraviglioso nel fatto che restino tali”. Vero o no, il tutto funziona come strategia di viral marketing a sei mesi dall’uscita del film ma, una volta in sala, risulta inefficace a 3/4 dell’opera, quando nonostante sapremo già di cosa si tratta, l’entità aliena continuerà a non essere filmata se non attraverso un montaggio di immagini fuggenti, gemiti, brevi e indistinte apparizioni nel buio. Forse solo una questione di gusto, ma un’idea più originale sull’essenza/iconografia/comportamento della creatura aliena avrebbe potuto avere una forza visiva maggiore allontanando l’impressione dell’elefante che partorisce il topolino. Il fatto che l’entità paranormale di Super8 appartenga a una “comune” specie di extraterrestri cattivi presenti a Hollywood ormai da venti anni (si pensi alla loro fisionomia in Alien e Independence Day o quelli visti di recente in Cloverfield dello stesso Abrams e Falling Skies prodotto da Spielberg) non è un punto chiave ma si somma negativamente a una sceneggiatura per molti tratti incline a trovare soluzioni semplicistiche.
In conclusione, Abrams ha il merito di essere fedele alla propria idea di cinema ma, pur aggiungendo un tocco personale ai classici di fantascienza ai quali strizza l’occhio, manca di quell’intuizione geniale che avrebbe reso Super8 qualcosa in più di un semplice blockbuster estivo per ragazzi.