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Dark Horse

venerdì 9 Settembre, 2011 | di Francesco Grieco
Dark Horse
Festival
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Voto autore:

68a Mostra del Cinema di Venezia, 31 agosto-10 settembre 2011

Vita di un bamboccione
Ritratto insieme spietato e intimo di un perdente, Dark horse è un Solondz meno disturbante del solito. Mancano le perversioni sessuali dei personaggi (si ricordi il pedofilo di Happiness, per esempio) e l’umorismo cinico prende quasi sempre il sopravvento sulla drammaticità delle vicende narrate.

dark_horse2Trattasi di commedia malinconica, dunque, sia pur sui generis, con tutta probabilità rivolta ad un pubblico trasversale, composto non solo dagli appassionati del sovente manieristico cinema indipendente americano, ma anche da spettatori di gusti più commerciali. I primi apprezzeranno l’antieroismo dei protagonisti del film e la comicità cerebrale e cattiva, tipica di Solondz. I secondi ne ammireranno i momenti sentimentali e patetici, ben centellinati. Il risultato è un film ibrido e poco coeso, a volte incerto e teneramente fragile, caratterizzato da un montaggio non prevedibile, che volutamente induce lo spettatore a confondere la vita vissuta di Abe, il nerdissimo trentacinquenne su cui è focalizzato l’intero film (ad eccezione del nostalgico finale), con le sue visioni mentali iperrealistiche o assurde. La libertà dell’istanza narrante e l’alternanza tra realtà e immaginazione sorprendono soprattutto chi invece si aspetta da Solondz semplicemente un gelido sguardo di precisione sociologica sull’America e le sue contraddizioni. Il film è invece ironicamente introspettivo, psicologico e schizofrenico, scisso com’è, appunto, tra mondo interiore ed eventi esterni. Va da sé che ai genitori di Abe, interpretati dagli inquietanti e allo stesso tempo grotteschi Christopher Walken e Mia Farrow, sono concesse poche battute. Di poco maggiore lo spazio riservato alla Miranda di Selma Blair, efficace nell’esprimere infantilismo, apatia ed egoismo. Le frasi di impulsiva e terribile schiettezza che rivolge al suo fidanzato Abe lasciano esterrefatti. I dialoghi sono ben scritti, memorabile la sequenza in cui Abe ci tiene a precisare di non essere un “trekkie”, mentre mostra a Miranda la propria stanza, piena di giocattoli e altre cianfrusaglie pop. Importante, infine, la funzione della colonna sonora, in particolare dei testi delle stupidissime canzoncine melodiche alla American Idol che contribuiscono a rappresentare Abe come uno sfigato totale.

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