I bookmakers inglesi hanno già quotato i vincitori della Mostra del Cinema di Venezia. Il favorito è A Dangerous Method di David Cronenberg.
La cosa è sorprendente, non tanto per il film su cui si appuntano le scommesse più “sicure”, quanto perché si tratta di una competizione decisa da una giuria ristretta – differente, cioè, dai campionati sportivi dove vince il più forte o dai premi dati con giurie amplissime (gli Oscar, per esempio). Notoriamente, le giurie internazionali sono imprevedibili. Forse i bookmakers hanno tenuto conto dei gusti del presidente Darren Aronofsky? Della composizione del gruppo di giurati? Non crediamo. Piuttosto, i bookmakers puntano sulla misurabilità della previsione cinematografica, una specie di algoritmo del buon senso per cui si calcolano la carriera dell’autore, l’originalità del progetto, la solidità produttiva della pellicola, il probabile consenso cinefilo di fronte a una filmografia quasi sempre accolta con entusiasmo… e così via. Insomma, Cronenberg – forse insieme a Polanski – è il più affidabile tra i registi e i film in concorso, mentre molti altri in gara potrebbero oscillare tra enorme sorpresa e cocente delusione, quindi vengono considerati spacca-giuria. Vedremo a fine festival se i cinici bookmakers avranno imbrigliato anche l’arte cinematografica nei loro calcoli di prevedibilità e monetizzazione del cinema d’autore. Vale del resto la pena ricordare che, alcuni giorni prima dell’inizio del festival di Cannes, gli allibratori britannici avevano indicato The Tree of Life di Terrence Malick come sicuro vincitore, con distanza molto netta dal secondo su cui scommettere. Materia su cui riflettere. Materia, inoltre, che rilancia la questione festival. Che cosa sono, a chi servono, e perché? Venezia appare la mostra con più confusione in testa su quel che vuole essere. Muller, che gode di stima largamente superiore ai suoi reali meriti (a cominciare da quello dell’indipendenza politica: si veda l’ignominioso caso di Box Office 3D quest’anno e di Michelle Bonev nel 2010), non ha mai sciolto il mistero sulla soggettiva vocazione della “sua” Mostra. Non si tratta, tanto, di bontà dei film proposti quanto di natura della selezione. Meglio rifugiarsi nella vera sezione di ricerca, quell’Orizzonti che i curatori, tra cui Sergio Fant, hanno inventato con lungimiranza meritevole di ben altra attenzione critica.