De Niro e Norton con la testa altrove
Disponibile in dvd e visibile sui canali di Sky cinema, Stone è un film del 2010 diretto da John Curran, e interpretato da un duo di star: Robert De Niro ed Edward Norton.
I due attori, considerati da molti come il top delle loro generazioni, e con il più giovane giudicato l’erede del mostro sacro italoamericano, hanno già lavorato insieme in The score (Frank Oz, 2001), in cui era presente anche Marlon Brando: il film di Oz era un thriller non particolarmente originale, reso interessante proprio dall’incontro dei tre attori e del loro modo di vivere i personaggi. Quindi, il primo motivo di potenziale interesse del film di Curran, vedere per la prima volta due grandi interpreti duettare, viene meno. A ciò si aggiunga che i due non danno certamente il meglio di sé: Norton sembra svogliato, mentre De Niro aggiunge un’altra stanca interpretazione, retta da un mestiere sempre più stinto, in questa sua ultima parte di carriera costellata da ormai troppi personaggi senza spessore. Se dal comparto attoriale motivi per accendere il decoder o inserire il dvd non vengono, da altri punti di vista la ricerca non porta risultati migliori. Stone racconta di un agente di correzione (De Niro) di una prigione della provincia americana: a poche settimane dalla pensione, gli si presenta il caso di un giovane condannato per omicidio (Norton), in galera da cinque anni. Il rapporto tra i due, in cui s’inserisce la moglie del detenuto (Milla Jovovich), che non lesina mezzi per convincere a concedere la grazia al marito, porta allo scoppio della crisi nella vita dell’agente, caratterizzata da infelicità e ipocrisia. Il film non presenta motivi di originalità, né riesce a rinnovare figure e motivi ormai già radicati nel cinema statunitense: tutto, a partire dalla minima scelta stilistica, di fotografia, passando per il sottofondo religioso fino ad arrivare alle facce degli interpreti, alle ambientazioni e alla musica, sembra già visto e sentito, preso qua e là nel cinema americano di genere (dal poliziesco e i suoi filoni, fino all’horror) degli ultimi venti anni, senza che ci sia una consapevolezza stilistica e narrativa che permetta di basarsi sugli stereotipi e allo stesso tempo di superarli e renderli ancora validi. Il film inoltre non decide se insistere sul confronto tra le due figure, con quella apparentemente onesta del giudicante che si rivela in realtà non tanto migliore del giudicato (e la presenza di De Niro fa venire alla mente Cape Fear di Scorsese), sulla crisi mistica del detenuto o sulla morbosità del triangolo. Questa indecisione di fondo crea passaggi di sceneggiatura non adeguatamente spiegati, e un approfondimento dei personaggi vicino allo zero, che porterebbe al ridicolo involontario, se prima non avesse effetto la noia di una visione a cui abbiamo assistito in mille altri film.