Bachir Lazhar: un gioiello in Piazza Grande
Le proiezioni all’aperto offrono alla folla di locarnesi e di turisti la possibilità di accompagnare il gelato o la birra presi nei numerosi bar della piazza con un programma variegato e per tutti i gusti.
Possibili blockbuster quali Cowboys contro alieni, promettenti film di genere (Super 8; Red State), il ritorno di un affermato autore (Kaurismäki con Le Havre) e film che avranno al di fuori del paese di produzione una diffusione probabilmente limitata e di nicchia, come L’art d’ameir del francese Emmanuelle Mouret e Bachir Lazhar, del regista canadese Philippe Felardeau (senza dimenticare la riproposta del classico Un americano a Parigi di Minnelli). Tra queste proposte, fino ad oggi i due film più interessanti sono Le Havre e Bachir Lazhar: due opere che, oltre ad essere entrambe molto belle, hanno anche punti in comune a livello tematico, e che sembrano nate da una stessa esigenza:parlano d’immigrazione e di infanzie messe alla prova, ed entrambe lo fanno, ciascuna a suo modo, alternando amarezza e umorismo. ? Bachir Lazhar, che probabilmente non verrà distribuito in Italia è ambientato in una scuola del Québec, dove un’insegnante, adorata dagli alunni, si uccide impiccandosi: per sostituire la donna, si offre Bachir Lazhar, immigrato di origine algerina da molto tempo in Canada.
Spacciandosi per insegnante, in realtà nella madrepatria gestiva un ristorante, Bachir ottine il posto e aiuta la classe a superare il lutto, in particolare per quanto riguarda Alicè e Simon, gli unici due bambini ad aver visto il corpo impiccato: Alicè reagirà diventando piü consapevole e matura, Simon mostrandosi spavaldo. Alla fine, grazie all’aiuto dell’improvvisato maestro, entrambi maturano e diventano piü forti e consapevoli. Parallelamente, veniamo a sapere che su Bachir pendono il ricordo di una tragedia recente e il pericolo che gli venga tolto l’asilo politico.?Il film riesce perfettamente a equilibrare i due temi, quello dell’infanzia messa alla prova e quello dell’immigrazione. Come ha affermato lo stesso regista, l’obiettivo era quello di mettere a fuoco due problemi molto sentiti in Canada: appunto la condizione degli immigrati, e il sistema educativo. Viene scelta la strada del racconto di formazione, che interessa tutti i tre personaggi principali, tutti in un momento decisivo di crisi e di passaggio che diventano una spinta all’evoluzione: Bachir, Alicè e Simon crescono insieme, influenzandosi a vicenda, con la bambina presentata come perno del processo di autoriflessione che, consapevolmente o meno, interessa i personaggi.?Tutto è raccontato con un pudore e una delicatezza rari ed efficaci, e con una finezza di descrizione psicologica notevole, che costituisce il punto di forza del film; questo crea una forte empatia e allo stesso tempo non impedisce di rappresentare chiaramente i problemi esterni ai protagonisti. L’intimismo che è la chiave di lettura piü immediata dell’opera assume anche un significato fortemente sociale, allargando lo sguardo sui problemi che sono alla base del travaglio dei tre. Inoltre non mancano riferimenti ironici al sistema scolastico, con genitori apprensivi e ottusi, una preside consapevole, ma poco coraggiosa e arrendevole, e un sistema che cerca di soffocare la crescita dei giovani con un’eccessivo ovattamento. Non siamo di fronte ad un pahmplet, e il tono non è quello della critica sociale diretta, tanto che personaggi negativi, anche quelli di contorno, mancano; traspare in maniera evidente e netta perö che, a livello generale, il sistema funziona poco.?Presenze costanti lungo la narrazione sono l’umorismo e l’ironia, utilizzati in maniera decisiva soprattutto per rappresentare l’estraneità di Bachir: è un umorismo garbato ma non innocuo, mai gratuito, e anche esso efficace nel sottolineare e rafforzare il “senso” del film e il ritratto del personaggio.