Italiani a Locarno, con coraggio
Quest’anno i film italiani presenti a Locarno, che storicamente dà maggiore spazio ai lavori di aria francofona e tedesca, oltre che, naturalmente a quelli svizzeri, sono pochi; allo stesso tempo, sarà la vicinanza geografica, la selezione è caratterizzata da un’attenzione particolare all’originalità e alla qualità delle nostre opere, che si possono infatti riassumere con il detto “poche, ma buone”.
Stiamo parlando nello specifico di sette opere di misericordia dei fratelli gemelli Massimiliano e Luca De Serio, e di L’estate di Giacomo, di Alessandro Comodin. Entrambi esordi nel lungometraggio, il primo partecipa al concorso internazionale, il secondo alla sezione “cineasti del presente”.
Sette opere di misericordia è, finora, una dei film più riusciti del competizione ufficiale: racconta la storia di Luminita, immigrata moldava che intende cambiare identità per sfuggire alla miseria delle baraccopoli e al destino di furti e di umiliazioni a cui è costretta; la giovane ragazza, interpretata da Olimpia Melinte, incontra Antonio, anziano gravemente malato alla gola, impersonato da Roberto Herlitzka. Lo scontro tra queste due persone ai margini della vita è inizialmente duro, ma il loro rapporto verrà sempre più caratterizzato da una crescente e reciproca misericordia. Le 7 opere di misericordia a cui si riferisce il titolo sono appunto i sette doveri (dar da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi…) a cui il buon cattolico deve dedicarsi lungo la sua vita, e che nel film indicano i sette capitoli con cui è raccontato l’evolversi del rapporto tra i due.
I due registi gemelli, già apprezzati per i loro documentari L’esame d Xhodi e Bakroman, mostrano in questo loro primo lungometraggio di finzione una grande espressività e forza visiva, che derivano dalle loro esperienze nell’arte contemporanea. La macchina da presa segue e insiste in modo significativo sugli oggetti, sui gesti e soprattutto sui volti e sui corpi: colpisce particolarmente l’attenzione su questi ultimi, mostrati senza sconti, ma mai in maniera gratuita e fastidiosa, nel loro disfacimento, nella malattia, nelle violenze subite e nella bellezza appannata dalla miseria quotidiana. Ritroviamo la stessa attenzione per l’ambientazione, la periferia ovest di Torino, una delle zone più problematiche della città, dove i due registi sono cresciuti e dove ancora vivono: ne esce una Torino marginale e novembrina, grigia, fredda e dominata da povertà, desolazione e baracche, sfondo perfetto per la vicenda dei due protagonisti. La forza visiva dei De Serio, oltre a regalare più di un’inquadratura iconicamente potente, permette di evitare i rischi dell’eccessivo minimalismo con cui il cinema italiano ha raccontato storie simili negli ultimi anni, di evitare perbenismi e buonismi vari e di entrare efficacemente nel cuore dei problemi affrontati.
Un’altra esistenza al limite della normalità, ma vista con occhio e toni ben diversi, è quella raccontata ne L’estate di Giacomo da Alessandro Comodin, ventinovenne friulano al suo esordio: il protagonista è Giacomo, giovane sordo, e racconta di un’estate trascorsa con Stefania, amica d’infanzia, timida e insicura. Vediamo le loro passeggiate nei boschi per raggiungere una spiaggia sulle rive del Tagliamento e fare il bagno, il cazzeggio in camera, le giornate all’aria aperta nei campi e i balli nelle sagre paesane. Nell’arco di questa stagione, il loro rapporto, ancora simile a quello che lega due bambini, conosce l’ultimo suo grande momento: ci sono accenni e indizi di un non detto che non riesce ad emergere, e i momenti di possibile sensualità non superano il confine dei giochi d’infanzia. Il film di Comodin è un sentito inno all’amicizia, con un certo sottofondo di amarezza per il sospetto di un possibile amore mai nato. Una pedalata alle luci del tramonto è la bella scena che simboleggia la fine dell’estate e il sipario che si chiude sul loro rapporto che non è riuscito a evolversi; sarebbe stata anche una riuscita e poetica conclusione del film, che perö negli ultimi minuti elimina Stefania e ci presenta un terzo personaggio, che sarebbe stato meglio lasciare nello spazio del “non detto e fatto capire”, e che in parte rovina l’armonia raggiunta nel corso della narrazione.
I due film in questione raccontano entrambi quindi di esistenze ai margini e particolari, e in entrambi i casi, ma soprattutto per quanto riguarda Sette opere di misericordia, il grande rispetto per i soggetti e i problemi affrontati non toglie spazio alla ricerca di uno stile e una poetica originali, evitando in questo modo un eccesso di minimalismo e il rischio dell’anonimato. Sono, in fin dei conti, due esordi coraggiosi e originali, di autori che meritano senza dubbio di essere seguiti con attenzione.