Genova anno zero
Quante telecamere c’erano a Genova, in quei giorni di dieci anni fa, durante i quali centinaia di migliaia di manifestanti riempirono le strade del capoluogo ligure per chiedere ai sedicenti grandi della Terra un mondo più giusto? Impossibile contarle.
A Genova c’erano gli operatori della Rai, quelli di Mediaset e quelli di un’infinità di canali locali. C’era enrico ghezzi, con la sua macchina da presa appesa al collo, grazie alla quale si è portato a casa 25 ore di girato. C’era il Cinema Italiano, 33 registi capitanati da Citto Maselli, tra i quali anche alcuni che oggi non ci sono più, come i grandissimi Gillo Pontecorvo e Mario Monicelli. C’erano le videocamerine di molti manifestanti e i microfoni delle radio. Chilometri e chilometri di registrazioni, immagini, voci, suoni.
E infatti, a fare una veloce ricerca dei film su quel G8, vengono fuori una caterva di documentari. Un altro mondo è possibile, ad esempio, è il film collettivo uscito dalle riprese di quei 33 registi italiani. C’è un lungo reportage di Carlo Lucarelli, andato in onda durante una puntata di Blu Notte. Ore e ore di Blob e Fuori Orario (ghezzi le ritrasmette su Rai3 proprio in questi giorni). Francesca Comencini, con Heidi Giuliani, ha firmato Carlo Giuliani ragazzo. L’elenco potrebbe continuare con decine di altri titoli, più di 60.
Tra questi, però, solo pochissimi sono film di fiction: Ora o mai più di Lucio Pellegrini, Due vite per caso di Alessandro Aronadio, e l’atteso Diaz, di Daniele Vicari, la cui lavorazione è partita in questi giorni, tirandosi già dietro uno stuolo di polemiche. Pochi sono anche i romanzi e i racconti, in relazione alla sconfinata mole di documentazione cartacea: saggi, cronache, atti giudiziari, fotografie. Perché non siamo in grado di raccontare, di narrare, di drammatizzare Genova?
Ben prima dell’avvento dei videofonini e dei social network istantanei che hanno rivoluzionato le rivoluzioni odierne – vedi il nord Africa, ma anche le recentissime proteste in Val di Susa – a Genova si è assistito a una moltiplicazione dei punti di vista, visivi e informativi. Una frammentazione che ci ha messi al riparo dall’imposizione di una verità assoluta. E falsa. Mentre i media ufficiali diffondevano a suon di fanfare la propria riveduta e corretta versione dei fatti (che, a grandi linee, parlava di un’orda di terroristi violenti giunta a devastare la città di De Andrè e Montale a colpi di molotov e gavettoni di sangue infetto), migliaia di obiettivi riprendevano le tante verità di quei cortei: i pochi Black Block lasciati agire indisturbati, le mani dipinte di bianco alzate contro il sole a invocare una pace soffocata nel sangue, le suore e gli scout arbitrariamente manganellati dalle forze dell’ordine, il fumo denso e pesante dei lacrimogeni urticanti, la festa di colori e danze che avrebbe potuto essere Genova se qualcuno non avesse deciso che doveva andare diversamente. Il sangue fresco, sui muri della Diaz.
Eppure, a dieci anni da quei giorni di luglio, c’è ancora chi crede alla versione ufficiale. Chi non si lascia convincere dall’evidenza delle immagini documentarie. Chi pensa che, in fondo, Carlo Giuliani, i 93 della Diaz, i torturati di Bolzaneto “se la siano andata a cercare”.
E forse è anche perché non siamo ancora riusciti a raccontare, davvero, Genova. A renderla parte di un immaginario narrativo che ne filtri spirito ed essenza, andando oltre la freddezza della mera cronaca. Ci manca una 25esima ora per sublimare quel nostro 2001. Per schiodarci da quell’immobile fotogramma che ha ibernato il tempo, imprigionandolo tra il rettangolo rosso di un estintore e quello nero, più piccolo e letale, di un’arma di Stato. Per liberarci, finalmente, dalla futile e vuota conta dei torti e delle ragioni, dei sommersi e dei salvati, degli apocalittici e degli integrati. Si dirà che, in Italia, un Paese che ancora cerca i responsabili delle stragi di oltre 40 anni fa, una cosa del genere non è avvenuta mai.
Eppure, ce la meriteremmo. Ce la meriteremmo, noi che avevamo vent’anni allora e che con il cuore spezzato sotto il peso di Genova abbiamo attraversato questi soffocanti anni Zero. E se la meriterebbero anche quelli che hanno vent’anni oggi, e che a Genova tornerebbero di corsa, con le mani dipinte di bianco, a passo di danza, anche in questo 2011.