La memoria “storta” di un uomo multiforme
Intervista a Emanuele Salce e Andrea Pergolari
Nell’ambito del 30° Premio Internazionale alla Miglior Sceneggiatura Cinematografica Sergio Amidei, per la sezione Evento Speciale – Ricordo di Luciano Salce, abbiamo avuto l’occasione di incontrare Emanuele Salce e Andrea Pergolari.
L’uno figlio del regista e di Diletta D’Andrea, l’altro storico e critico del cinema, autori dell’interessante documentario L’uomo dalla bocca storta.
Ricordi, testimonianze, fotografie, momenti di film, partecipazioni televisive ci hanno accompagnato alla scoperta di un artista misconosciuto che, nonostante fosse stato così importante e innovativo per lo spettacolo italiano, a poco a poco è stato dimenticato; questo è uno degli obiettivi dell’opera, assieme al desiderio di “costruire la personalità pubblica e privata” di quella che Albertazzi nel suo intervento definisce “una figura multiforme”.
“Dalla scomparsa di mio padre (…) ho deciso di avventurarmi in quella tortuosa, esaltante e commovente avventura dell’apertura di scatoloni, bauli, faldoni, album fotografici, diari e quant’altro mio padre mi aveva lasciato dopo la sua dipartita”: così Emanuele racconta nella dedica che apre il libro Luciano Salce: una vita spettacolare, – che assieme al documentario completa l’omaggio – le motivazioni per cui ha intrapreso questo suo viaggio, che non è solo l’omaggio di un ammiratore, ma anche “una tappa decisiva e necessaria nel percorso di figlio, di individuo, di uomo”, motivata dall’esigenza di “crescere ed elaborare la propria storia”.
Quando ha voluto aprire il baule?
In vari momenti della vita. All’inizio era un pensiero polemico, mi chiedevo perché nessuno ricordasse mio padre, perché nessuno facesse niente. È stato un lavoro duro per il quale tutti ci hanno scoraggiato in ogni modo; ci siamo “battagliati” per scrivere una cosa. Però noi non abbiamo accettato questa risposta, mostrandoci sempre più motivati. Quindi, per me è un grande piacere trovarmi in questa situazione.
Andrea, lei ha sempre scritto libri su registi meno trattati e considerati nelle storie del cinema; come e quando è nato l’interesse per Salce?
Fin da bambino guardavo i suoi film e mi piacevano; come tutti della mia generazione ho amato Fantozzi. Da grande poi mi è venuta la voglia di risalire all’autore, capire chi era, parlava di lui anche la mia tesi di laurea. Poi ho incontrato Emanuele, e tutto è cresciuto da sé.
Nel documentario il critico Alberto Pezzotta ha parlato del fatto che Luciano Salce non è mai stato particolarmente amato dalla critica; secondo lei è proprio per questo? Perché troppo versatile e bravo a fare troppe cose?
Questo andava contro la mentalità di certi critici che ragionavano a “scaffali”, etichettando il pensiero e la poetica rigidamente; per questo motivo mio padre generava confusione e antipatia, e poi partecipa anche a quelle pellicole un po’ scollacciate… e inoltre da che parte sta? Politicamente era definibile come uno spirito libero.
Andrea: in Colpo di stato, suo film maledetto, immaginava la vittoria elettorale del P.C.I. che si rifiutava di salire al potere; è evidente qui che è una critica interna alla sinistra, ma non da parte di un intellettuale organico.
In varie occasioni, suo padre ha parlato del rapporto con lei, affermando di non sentirsi all’altezza del compito, di non avere pazienza e di non riuscire a farla divertire: lei che ricordo ha del vostro rapporto?
Sono sempre convinto che quelli che pensano così sono meno peggio di quello che dicono. Anche il fatto di parlarne in pubblico era un modo per dire che ci stava lavorando; ci tenevo tanto a raccontare mio padre come persona, non rinchiuderlo in un angolino. Non ho mai dubitato del fatto che mi volesse bene, come faceva una persona che non aveva avuto un esempio, a cui nessuno ha mai insegnato cosa volesse dire essere un genitore. È stato un rapporto di grande intensità, ma molto taciuto; quando ero piccolo non capivo, ma poi negli anni, elaborando, tornandoci su, tutto è risultato più semplice, più lineare. Era un uomo che ha sempre fatto del suo meglio, che ha sempre ammesso i suoi limiti, e ho sempre apprezzato questo in lui.
Il vostro lavoro è un omaggio completo: come avete lavorato con un materiale così vasto e complesso?
È un documentario che assomiglia a Salce, che non è solo il personaggio a cui è dedicato, ma proprio il protagonista. L’intenzione era di non disperdere il suo umorismo. Abbiamo lavorato prima al libro, e perciò la strada era spianata perché c’era già un’impostazione critica. Decisivo è stato il rapporto con il discendente, che ha aperto le porte per incontrare i vecchi amici e colleghi del regista. Ci sono cose che non abbiano inserito e montato, dal momento che erano momenti troppo intensi, come ad esempio, delle testimonianze di Catherine Spaak. Abbiamo iniziato a montare scegliendo tra le 30 ore di filmati, con l’obiettivo di ridurlo ad un’ora ed eliminare i tempi morti.
Come è nato il suo desiderio di intraprendere la carriera di attore?
Le cose accadono quando devono accadere. Avendo anche il patrigno nell’ambiente, fino ad un certo punto sono stato schiacciato e intimorito dalle figure di mio padre e del mio patrigno, ma poi sono uscito dal guscio in cui mi ero raggomitolato, intrappolato. Il mestiere dell’attore mi ha aiutato a livello terapeutico; l’attore ti permette di essere cosa altra da te, e dall’altra parte ti permette di mettere nel personaggio la tua verità.
Sta per essere pubblicato il suo ultimo lavoro Ha visto il montaggio analogico? Che analizza 10 film degli anni sessanta che non hanno avuto fortuna critica, ma che lei reputa importanti e degni di nota. Da cosa nasce questo suo interesse di indagare autori meno studiati?
Innanzitutto è nella mia indole indagare quello che gli altri sottovalutano. Questo libro ha una motivazione storica; ripercorre le tracce lasciate dai critici dell’epoca, e vuole realizzare una sorta di storia artistica, ma senza un fine polemico nei confronti di chi ha dato giudizi all’epoca. I registi come Salce non avevano interesse a farsi storicizzare, ma volevano semplicemente fare film; è compito dello storico ricercare e rivedere quali film devono essere rivalutati e rivisti.
Eleonora Degrassi, Edoardo Peretti