Bonsoir monsieur Truffaut
La trentennale edizione del Premio Amidei, per quel che concerne la sezione dedicata alla retrospettiva su Truffaut, si apre con la presentazione da parte del Professore Roy Menarini di due cortometraggi di 18 minuti l’uno: Les Mistons e Une histoire d’eau.
Due “fotogrammi” che compongono un puzzle, d’altri tempi, del paesaggista Truffaut. Prime opere che, nate quasi per gioco, consentono allo spettatore, cinefilo e non, di “regredire” verso il proprio vissuto adolescenziale. Truffaut paesaggista, Truffaut intellettuale, Truffaut fanciullo, prima che uomo… fu ideatore della politica degli autori con i suoi film diretti, sceneggiati, recitati, criticati, amati, odiati, sempre con la purezza che caratterizza gli innovatori.
Sin da questi due frammenti, s’intravedono il sentimentalismo, il pessimismo ed il vitalismo del nostro ospite che con essi vuole porre in rilievo l’amore, l’amore oltre l’eros.
Del 1957, il primo cortometraggio, rinfresca la mente e l’animo dello spettatore con un’elegante e luminosa passeggiata in bicicletta. La bellezza tanto decantata dai “monelli” è oggettivamente visibile in Bernadette Lafont che maliziosamente invita lo spettatore a entrare in sintonia con lei, o meglio, con i sentimenti, le emozioni di cui è musa. I fotogrammi scorrono rapidamente tra le campagne di Nimes che costituiscono lo scenario di pulsioni e scherzi “alla Lumiere” da parte di un gruppetto di ragazzini innamorati che perseguitando l’amata e giocando alla guerra, comprenderanno quanto poco lontana essa sia e quanto la bellezza dell’amore possa essere eterno.
Il gioco, inoltre, alimenta i movimenti dei fanciulli come quelli degli adulti e lo scambio delle parti è naturale e scontato: i bimbi giocano agli adulti e gli adulti giocano ai fanciulli. Finché lo sguardo degli uni non entra in contatto con quello degli altri, come innanzi ad uno specchio che, prima o poi, si frantumerà alla vista d’un bacio così come all’annuncio della morte.
In questo, come nel secondo cortometraggio, la luce impressionista filtra tra i rami e si riflette nelle acque della natura per colpire i protagonisti e gli spettatori stessi. Se ne Les Mistons la musicalità bene si adatta alla tematica, ne Une histoire d’eau del 1958 è decisamente originale, forse per l’intervento di Jean Luc Godard, che ne fece ciò che le riprese di uno Truffaut poco convinto gli ispirarono. Ispirato da un’insolita calamità naturale, con pellicola e automobile in prestito, Truffaut girò un’improbabile avventura amorosa tra scene documentaristiche, il tutto fu poi “reinterpretato” dall’allora amico Godard.
Tra un monologo che spazia da Petrarca a Matisse, da Baudelaire a Balzac, da Degas a Goethe, musiche tribali, classiche e jazz il tragitto per le campagne inondate di Montereau appare alquanto caotico. Gli imprevisti di un viaggio, uniti agli strani scherzi della natura ed a un sentimentalismo piuttosto moderno sostituiscono alla melanconia truffoniana una vitalità insolita che si consolida con mimica e riprese spontanee, quasi amatoriali. E gli adulti, comunque, continuano a giocare ai fanciulli… in fondo fare film significa proprio questo: “prolungare i giochi dell’infanzia”.