A game of fan
“Al gioco dei troni si vince o si muore”. Dice così la perfida regina Cersei, ma c’è anche una terza opzione: appassionarsi.
Il gioco dei troni è quello che conducono, senza esclusione di colpi, le casate nobiliari dei Seven Kingdoms in Game of Thrones, prima serie fantasy prodotta dalla prestigiosa HBO e andata in onda tra aprile e giugno negli Stati Uniti. Ma prima di tessere i loro intrighi sul piccolo schermo, gli Stark, i Lannister, i Baratheon e tutte le altre grandi famiglie dei Sette Regni sono protagoniste di una saga letteraria, Le cronache del ghiaccio e del fuoco, opera dello scrittore G.R.R. Martin. Un autore che condivide più di un aspetto con il maestro riconosciuto della letteratura fantastica, J.R.R. Tolkien: una doppia “R.” nel nome e un fandom agguerrito e sfegatato.
La serialità (letteraria, televisiva, cinematografica) genera con naturalezza gruppi di appassionati, veri fanatici dei personaggi e dell’universo finzionale creati dal prodotto di culto. Tanto che, in alcuni casi, differenziare l’oggetto dell’adorazione dei fan dai fan adoranti diventa quasi impossibile. E così Game of Thrones è stata una delle serie tv più attese di sempre: furbescamente, la HBO aveva acquistato da anni i diritti televisivi delle Cronache, e da anni lasciava filtrare anticipazioni e curiosità. Quando Game of Thrones si è affacciata sullo schermo, in aprile, tutti sapevano da tempo che “l’inverno stava arrivando” (è il motto di casa Stark, nonché tagline della serie), perché il poderoso fandom nato dall’opera letteraria si era occupato di fare promozione allo show in un modo che nemmeno quei geni del viral marketing di True Blood avrebbero potuto permettersi.
Attenzione, però: i fan sono creature esigenti. Totalmente innamorati dell’opera di partenza, vivono come un affronto personale anche la più piccola modifica rispetto all’originale. Così, spesso, nel passaggio da un medium a un altro, il rischio è duplice: far arrabbiare i fan (con quel che ne consegue in termini di pubblicità negativa) e creare un prodotto inaccessibile agli spettatori non-fan, ignari del contesto di partenza. Ed è proprio qui che HBO vince su tutta la linea: non solo i fan di Martin sono estasiati dalla fedeltà della messa in scena, ma Game of Thrones riesce a raccogliere una gigantesca quantità di nuovi adepti, che nulla sanno dei libri, ma che si appassionano alle vicende di Westeros esattamente come gli altri.
C’è da dire che sia le Cronache sia Game of Thrones sono, per l’appunto, dei meravigliosi “giochi”. La saga letteraria è raccontata adottando di volta in volta il punto di vista di uno dei personaggi principali, in una struttura che rimanda ai giochi di ruolo (con i quali condivide l’ambientazione fantasy). La serie tv, per forza di cose, non può riprodurre quest’impalcatura narrativa, ma può avvalersi di una straordinaria scelta di casting, dove ogni volto è appropriato che più non si potrebbe. Il risultato è un coinvolgimento emotivo e affettivo dello spettatore che si ritrova letteralmente a fare il tifo per questo o quel personaggio, per questa o quella casata, arrivando ad identificarsi con i propri beniamini, quasi fossero degli avatar personali nel complesso “Gioco dei troni”.
E poi non dimentichiamo che la saga letteraria non è ancora conclusa: il buon vecchio G.R.R. Martin sta scrivendo da ormai cinque anni il quinto dei sette volumi delle Cronache. Un po’ come successe con Harry Potter (la cui serie cinematografica approdò nelle sale quando il racconto letterario era nel pieno del suo svolgimento), il cortocircuito mediale va tutto a vantaggio dell’alimentazione del fandom: nessuno, neanche i lettori della prima ora, sa come andrà a finire, e quindi largo a teorie, speculazioni, cacce agli indizi tra libri ed episodi. Un grande gioco intertestuale, al quale possono partecipare tutti.
Pronti? Via.