In epoca di festival estivi, come il Cinema Ritrovato di Bologna o il Premio Amidei di Gorizia (da noi seguiti con attenzione), torna la consueta domanda sull’effettiva importanza di queste manifestazioni. Chi, come il sottoscritto, milita decisamente a favore dei festival – specie di quelli meno legati alle novità e alle anteprime, come quelli nominati – continua a pensare che costituiscano un elemento culturale di interesse comune.
Quel che invece manca è una vera e propria capacità di valutazione critica dei festival. Cosa importantissima, poiché potrebbe essere utile anche per un più generale discorso sull’assegnazione dei fondi e l’attenzione pubblica nei confronti di una o dell’altra manifestazione. Visto il nostro coinvolgimento nel Premio Amidei in termini di contributo scientifico, limitiamoci al Cinema Ritrovato, che a Bologna raccoglie un foltissimo pubblico in una maratona senza sosta di cinema del passato.
Ci sono due modi di fare un festival così. Uno è accumulare film storici, restauri, percorsi cinefili e rarità in una sorta di kermesse cinefaga, dove ciò che conta è il perdersi nel mare delle opere (era la Taormina di Ghezzi, è lo spirito di Fuori Orario e di certa, legittima, cinefilia anni Settanta). L’altro è fare come Bologna, grazie a uno strano team, formato da Peter Von Bagh (che sarebbe un po’ il versante cinéphile movimentista), e da Gianluca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, più istituzionale e rigoroso. Dalla formidabile coppia nasce un festival dallo spirito cinefilo che affianca ricerca e restauro, piacere del vortice di programmazione e causalità (non casualità) delle scelte. Come misurare un tale festival? Non certo e non solo dal numero delle presenze (comunque lusinghiere), piuttosto dal numero di archivi e istituzioni coinvolte, dalla provenienza internazionale degli accreditati, dalla qualità delle testate presenti in rassegna stampa, dal profilo degli ospiti, dalla accuratezza delle copie, dalla filosofia espressa nel programma, dai network che si creano in loco, dalle ricadute occupazionali e dall’indotto, dalle pubblicazioni collegate e dall’organizzazione quotidiana.
Il resto è puro lavoro di ufficio stampa, copertine e strilli, capacità di indirizzare i media e scaltrezza pubblicitaria, su cui molti festival assai meno meritevoli campano con fondi smisurati e ingiusti. Si apra un ragionamento, anche per noi critici, su come giudicare un festival, escludendo che si tratti solamente di parlare dei singoli film ospitati in ciascuno di essi.