Numerosi commentatori hanno giustamente notato che le recenti elezioni provinciali e soprattutto i referendum hanno rappresentato un punto di svolta per la storia della partecipazione politica. Per la prima volta in Italia – negli Usa era già accaduto con l’elezione di Obama – il cosiddetto popolo della rete si è reso protagonista, e – cosa che più conta – i social media e i social network si sono dimostrati decisivi, operando un sorpasso storico sulla televisione.
È probabile, dunque, che nuove generazioni di elettori si stiano affacciando e colgano informazioni e partecipazione attraverso tali strumenti (d’altra parte sono gli stessi che hanno coadiuvato la primavera araba). Ed è altrettanto ovvio che i grandi comunicatori del recente passato, compreso il Presidente del Consiglio, facciano la figura dei matusalemme di fronte ai new media, di cui mostrano apertamente di non sapere un fico secco.
Tutto ciò ci sembra molto positivo. Ci chiediamo, dunque, se questa stessa forma di appropriazione e di restituzione discorsiva, del tutto (o quasi) autonoma rispetto ai dettami dei palinsesti, non possa esercitarsi anche nei confronti dell’industria cinematografica. Certo, in qualche modo tutto ciò già avviene, grazie alle forme di reperimento di film on line, e alla condivisione cinefila di testi audiovisivi, serie tv, ecc. Quel che manca è forse un movimento davvero collettivo di consumo intelligente e alternativo. Non basta più battere in velocità la distribuzione o procacciarsi i film a dispetto della loro collocazione in sala. Forse varrebbe la pena dettare una vera e propria agenda di film che si vogliono vedere, da far circolare, su cui battere la distribuzione sorda e alla mercé dei grandi conglomerati mediali, creando un movimento di cinefilia che – oltre a vedere i film a modo proprio – sceglie e propone i film da guardare, pescandoli in un mondo di autori, generi e cinematografie a noi negate dallo strozzamento delle prime visioni. Un sogno proibito? Speriamo di no.