Da giorni non si parla di altro, persino sulle pagine nazionali. Al cinema Lumière di Bologna (la sala della Cineteca Comunale, celebre nel mondo per la sua intraprendenza e per il festival del Cinema Ritrovato, che Mediacritica seguirà), The Tree of Life è stato proiettato per giorni a rulli invertiti.
I primi 20 minuti sono stati posposti, e la scena della creazione anticipata.Nessuno se n’è accorto, tra gli spettatori, fino a che la cosa è finita sui giornali. Giuseppe Bertolucci e Gianluca Farinelli, rispettivamente presidente e direttore della Cineteca di Bologna si sono scusati: “…L’episodio, in sé mortificante e gravissimo, non ha giustificazioni e dunque ce ne assumiamo in pieno tutte le responsabilità e non possiamo che rivolgere tutte le nostre scuse alle centinaia di spettatori ai quali abbiamo offerto un involontario falso d’autore”. Ma poi giustamente hanno aggiunto: “Il gigantesco e paradossale lapsus nel quale noi e il nostro pubblico siamo inciampati potrebbe essere lo spunto per una interessante riflessione, sia in chiave psicanalitica, che sociologica sulle condizioni della fruizione (e della percezione) dell’opera cinematografica nell’attuale impero mediatico…”.
Raccogliamo la sfida della riflessione. Ovviamente si è trattato di uno sconcio. Purché si sappia che, se davvero l’integrità del film deve essere un valore, essa allora va cercata ovunque. Per esempio: si pensa davvero che quando ci rechiamo in sala per vedere un film di prima visione, sia pure narrato nella giusta consecutio temporum, assistiamo a un’opera integra? Tutt’altro, vengono il più delle volte sbagliati i mascherini, spesso mal tarati i colori digitali, invertite le casse audio, tagliati i titoli di coda, usati schermi sporchi e macchiati, e tutto ciò che rende l’esperienza (forse) narrativamente giusta ma orribilmente mutilata dal punto di vista formale – e sostanziale. Varrebbe la pena meditare sul problema di come vediamo i film. Meglio Tree of Life coi rulli sballati in lingua originale e le proporzioni giuste al Lumière, che non Tree of Life in una sala squallida, o sullo schermo di un computer (che non demonizziamo, anzi: ma questo è un film che ne verrebbe umiliato). Quando si vorrà capire che il cinema, oltre che esperienza tecnica, ha a che fare con l’elemento sociale, culturale e psicologico?
Il film di Malick, poi, è un’esperienza smisurata, dove il regista americano ha girato almeno 11 ore di pellicola, e poi ridotto il tutto a nemmeno 3 ore, segno che Tree of Life è uno solo dei molti Tree of Life che avremmo potuto vedere. La Cineteca di Bologna ce ne ha fatto vedere uno un po’ diverso, e forse Malick, sotto i baffi, se la ride divertito.