Una ricognizione trasversale sull’ecosistema seriale
Da diverso tempo occuparsi del panorama mediale contemporaneo significa avere a che fare con oggetti estesi e interconnessi, sempre meno definiti da confini precisi e sempre più mondi espansi, durevoli e condivisi.
Il convegno “Media Mutations 3. Ecosistemi narrativi: spazi, strumenti, modelli”, svoltosi a Bologna la scorsa settimana, ha cercato di fare il punto su spazi, strumenti e modelli attraverso cui indagare la contemporaneità mediale, a partire dal concetto di “ecosistema narrativo”. L’attuale mediascape sarebbe infatti caratterizzato da aspetti che lo rendono definibile attraverso il modello ecosistemico, di derivazione biologica: da questo punto di vista il “tutto” mediale e le parti che lo compongono vengono definiti come sistemi aperti e interconnessi, che tendono all’equilibrio e alla stabilità nel tempo e in cui sono rintracciabili componenti biotiche (ad esempio le parti modificabili) ed abiotiche (ad esempio la natura del medium).
Molti interventi si sono concentrati sull’universo delle serie televisive, che per la loro replicabilità, remixabilità ed estendibilità permanente sono particolarmente esemplificativi della forma ecosistemica: oggigiorno le serie sono pensate e fruite come mondi espansi, in cui la narrazione principale è inscindibile dalle complesse architetture mediali che la circondano (le procedure di marketing virale, le pratiche di prosuming, le molteplici possibilità di fruizione). Lucio Spaziante ha parlato non a caso di mondi narrativi che migrano dal loro spazio originario per costituirsi in “quasi-mondi” che vivono ben aldilà della messa in onda del testo seriale.
In questo panorama in mutamento il paradigma jenkinsiano della convergenza culturale sembra ormai superato: per Massimo Scaglioni e Luca Barra non si può tralasciare il fatto che la cultura grassroots operi costantemente in uno spazio permeato dai vincoli imposti dalle media corporations; è necessario superare le semplificazioni sulla libertà concessa dal web, e considerare le continue rinegoziazioni degli spazi d’azione di fandom e produzione: emerge infatti una sorta di “testualità terziaria” con cui i fan riempiono i vuoti lasciati dagli spazi ufficiali dei network. Eppure è frequente la miopia dei canali, che non riconoscono le potenzialità di diffusione dei propri prodotti attraverso i contenuti dei fan.
È il caso della Fox nei confronti del fandom di Glee, citato da Agnese Vellar e Luca Rossi nel loro intervento sulla natura di universo espanso della serie di Ryan Murphy. Per la sua forma ibrida di musical-teen-dramedy, Glee è oggetto privilegiato di proliferazioni di contenuti dei fan: sui canali non ufficiali di Youtube si susseguono remix, ma anche cover degli spettatori, che in tal modo mettono in comunicazione attraverso il “nodo” della musica pop comunità che difficilmente si sarebbero in altri modi avvicinati alla serie. Alle sanzioni imposte dalla Fox, gli utenti rispondono ricreando di volta in volta i canali oscurati, o usando accorgimenti come lo specchiamento dei video per aggirare il copyright (uno dei comportamenti che esemplifica quell’operare tra le maglie dei vincoli legali descritto da Scaglioni e Barra).
Eppure gli apparati produttivi seriali sono costretti a fare i conti con i cambiamenti nella fruizione e con la generazione di contenuti connessi alla serie indipendentemente dalla serie stessa: le reti si dotano così di mezzi che si adeguano al nuovo stato dello spettatore seriale. Claudio Bisoni ha parlato della logica del recap, ovvero quella sequenza pre-episodio che riassume il processo narrativo della serie fin lì: pur discendendo dal riassunto letterario, il recap è sia strettamente legato al testo di partenza, di cui riporta vari stralci, sia sua sintesi di senso, data dalla selezione delle immagini e dalle scelte di montaggio, suoni, marche riconoscibili della serie. Così più che di semplice riepilogo possiamo parlare di una forma di interfaccia tra lo spettatore e l’universo narrativo disseminato davanti a lui.
Talvolta aperture e interconnessioni vengono progettate proprio dalla rete di produzione, dando vita a insoliti interscambi tra utenti/fruitori e produttori. Hector Perez Lopez ha illustrato le modalità di interazione tra la produzione della serie Game of Thrones e i fan dalla saga letteraria di George R.R. Martin da cui è tratta, Le cronache del ghiaccio e del fuoco; la HBO ha tenuto in considerazione i suggerimenti dei fan su casting e scenografie, e durante la lunghissima campagna marketing ha diffuso poche, mirate informazioni attraverso teaser criptici, in modo da stimolare attivamente l’analisi e la formulazione di ipotesi da parte dei lettori e futuri spettatori. In questo caso è stata possibile un’operazione di questo tipo perché la HBO ha potuto contare su una comunità di fan già rodata e attiva come quella dei lettori di Martin (si veda il sito westeros.com).
L’universo seriale appare indubbiamente l’oggetto audiovisivo cui l’approccio ecosistemico si presta meglio, per la molteplicità di ramificazioni testuali e per la rilevanza delle reciproche influenze tra testo principale e consumatori; ora che la strada è aperta, il tempo e il prosieguo degli studi ci diranno se questo sistema sia effettivamente adatto a tutti i tipi di narrazioni mediali.