Stazionando di fronte a un multiplex, nello scorso weekend, le locandine erano inequivocabili. Fast and Furious 5 reca il sottotitolo “Rio Heist” ed è ambientato nella megalopoli brasiliana, esattamente come l’omonimo film animato. Poi c’è Pirati dei Caraibi 4, con la solita zingarata in giro per i mari dell’avventura. Infine c’è Una notte da leoni 2, ambientato come noto a Bangkok.
Mentre i primi due film (escluso il digital cartoon per le famiglie) appaiono come espressioni di genere piuttosto codificate, in cui anche lo scenario esotico serve soprattutto a creare ambienti virtuali di avventura e azione, è l’altro titolo a far suonare qualche campanello d’allarme. Il comportamento degli amici alcol-dipendenti, che mascherava lo spirito retrivo e adolescenziale dietro una idea-bomba e francamente irresistibile nel primo episodio, diventa in questo sequel assai più sinistro. Bangkok è, per i nostri protagonisti, puro e degradatissimo terzo mondo, un luogo in cui convivono scarafaggi, pedofilia, corruzione, droga, monaci buffoni e che va attraversato più in fretta possibile prima che esso li catturi. Non è un caso che il promesso sposo abbia scelto un resort per il proprio matrimonio con la bellezza locale (muta, inespressiva, inebetita: è un trofeo orientale). E che tutto si risolva lasciando la città alla sua esistenza ripugnante, mentre la famiglia si ricompone e anche il suocero odioso si lascia andare, ammirando la sfrontatezza “primitiva” del futuro genero.
Qualcosa non quadra, in questo neo-esotismo hollywoodiano. La prima Notte da leoni in fondo diceva qualcosa proprio dell’intima immaturità americana, dei blackout di una nazione di fronte alla propria discutibile etica privata dietro l’etica pubblica, e tanto altro ancora. L’ossessione della trasferta rischia di echeggiare i nostri comici in vacanza natalizia. O le fughe care a Salvatores e Muccino, appena più sofferte.
Per questo motivo continuiamo a rimpiangere l’esotismo classico, dagli anni Venti agli anni Quaranta, quando Valentino, Fairbanks, Flynn (ma anche i fratelli Marx) rispondevano a un immaginario avventuroso ancora vivissimo e palpitante. Persino gli stereotipi diventavano qualcosa di magico, con pieno rispetto di culture lontane in grado quanto meno di fornire una sontuosa reggia all’immaginazione. L’esotismo contemporaneo, persa ormai l’avventura in nome di altre forme della fantasia, appare come una prigione, e nemmeno tanto dorata.