Non sono solo affari di famiglia
Mescolando abilmente storia e finzione, Rachid Bouchareb realizza con Uomini senza legge un film di grande intensità e potenza, sia pure con esiti di poco inferiori al precedente Indigènes (2006), con cui condivide gli attori principali, gli eccellenti Jamel Debbouze, Roschdy Zem e Sami Bouajila.
Uomini senza legge ha in comune con Indigènes anche l’ambizione di raccontare, con stile sobrio ed efficace, ma senza disdegnare la spettacolarità di sequenze d’azione ben girate e appassionanti, le vicende del popolo algerino nella lotta di indipendenza dalla Francia. In particolare, Bouchareb si sofferma sulla storia di tre fratelli, coinvolti a Parigi nelle attività sovversive dell’FLN. Uno è un attivista politico di lungo corso, che ha passato anche diversi anni in galera per le sue idee. L’altro è stato un soldato in Indocina, che si unisce ben presto alla resistenza algerina. L’ultimo prova ad emanciparsi allenando giovani pugili, ma finisce per appoggiare l’operato dei fratelli.
La crudeltà dei ribelli algerini è la stessa che caratterizza la dura repressione francese, con la Mano Rossa responsabile di continui spargimenti di sangue, in uno scontro senza tregua, conclusosi con l’indipendenza, nel 1962.
Bouchareb mostra la rottura degli equilibri familiari causata dall’esplosione della violenza. Il fanatismo e il desiderio di vendetta conducono Said, ma soprattutto Messaoud e Abdelkader a commettere efferati omicidi, trasformandosi in individui senza scrupoli, simili ai gangster di tanti film americani. Il regista guarda a Coppola e Scorsese nella rappresentazione cruda e spietata degli assassinii, alternando uno sguardo etico e distaccato, quasi glaciale, a momenti melodrammatici, spesso sottolineati dalla musica. La coralità della narrazione rimanda anche al grande Melville dell’Armata degli eroi (1969), che il regista ha espressamente menzionato come fonte di ispirazione, insieme al Padrino (1972), omaggiato nella sequenza della morte di Hélène.