L’avventura del cinema
Michelangelo Antonioni, uno dei nostri maggiori cineasti è stato il protagonista di una piccola retrospettiva al Nododoc di Trieste, insieme a un documentario-tributo diretto da Carlo di Carlo, regista al quale in questi giorni è dedicata una lunga selezione di opere.
Così come era cominciata la sua passione dietro alla macchina da presa, osservando nel 1943 la Gente del Po, si intitola appunto il primo documentario di Antonioni. Con gusto etnografico nel raccontare i volti e il duro lavoro di questa parte della popolazione italiana, già non è difficile notare la profonda capacità di indagare nella realtà, di andare oltre ad una certa superficie. Ma la bellezza delle immagini è notevole sia nella costruzione fotografica, sia nella narrazione dei costumi, ormai bizzarri ai nostri occhi, che ci fanno sorridere con un velo di nostalgia. Altri tre brevi documentari sempre relativi agli anni ’40, con sapore neorealista ritraggono la giornata lavorativa degli addetti alla nettezza urbana, un Italia ancora rurale e vittima di comiche superstizioni, e una città (Roma) dove si filtra già una sottile spensieratezza. Quest’ultima prende vita con l’Amorosa Menzogna, breve e spassoso sguardo sul mondo dei fotoromanzi, e dei suoi divi, magari meccanici di giorno e romantici tenebrosi sul fumetto. In Friuli invece è stato girato Sette canne, un vestito, prezioso documento della produzione del filato della viscosa, che ritrae i primi accenni di uno sviluppo industriale e della meccanizzazione del sistema, ritratto con un montaggio serratissimo dal regista. Inedito il documentario Vertigine, sul funzionamento di una funivia. Non una di queste sue opere manca di poesia, riusciamo a percepire la voglia e il disincanto di Antonioni nel raccontare queste storie, a volte banali nell’essere così comuni, dove le immagini smentiscono sempre quest’apparente banalità, andando oltre appunto alla superficie.
Nel documentario di Carlo di Carlo Antonioni su Antonioni scopriamo che era questo l’intento nel fare cinema di un uomo apparentemente riservato, giudicato freddo nelle sue opere o privo di umorismo. Questo breve ritratto prende spunto da interviste del regista in televisione, a partire dall’ultima ufficiale al Maurizio Costanzo Show, prima che venisse colpito da una malattia che gli tolse letteralmente la parola. Semplice e lineare, questo tributo fatto da un suo stretto collaboratore, ci fa addentrare lentamente nell’umanità di Antonioni. Nella sua visione del mondo radicale e in fondo non troppo diversa da quelle figure che lui stesso raccontava, storie di persone semplici eppure complesse. Come tutti noi siamo, in fondo.