In questi giorni Cannes è miraggio per molti. Il miglior festival del mondo, a sentire chi ci va, sta scorrendo anche quest’anno tra nomi altisonanti di autori venerati e scoperte piccole e interessanti.
Per chi come noi – il sottoscritto ma anche Mediacritica – non può essere alla Croisette per motivi di forza maggiore, seguire da lontano il Festival è quasi surreale. La critica ai singoli film in programma è ormai appannaggio esclusivo del web; sui quotidiani spazio sempre più sconcertante viene lasciato ai fenomeni di costume e alla presunta cronaca. Le pagine dei giornali più importanti coprono Cannes in maniera quasi offensiva, con una supina subordinazione ai fatti di un glamour che viene tenuto in piedi faticosamente dagli stessi media che pensano sia l’unica cosa che conta. Si tratta, in verità, di forme pubblicitarie mascherate, altrimenti non si spiegherebbe lo spazio lasciato al lancio di Pirati dei Caraibi, capitolo quarto, con tanto di Depp sulla scalinata e dive in prendisole, mentre a pochi metri si proiettano film ben più interessanti.
Di che diavolo si lamenta, poi, la carta stampata, se sempre più persone la abbandonano? Perché mai qualcuno dovrebbe aver voglia di leggere le dichiarazioni di Penelope Cruz per otto colonne, da Cannes, in funzione meramente assertiva e ancillare rispetto alla valanga di spot e trailer che già inondano i media a pochi giorni dall’uscita in sala del nuovo film piratesco?
Guardare Cannes da lontano probabilmente non aiuta più di tanto a capire l’atmosfera della Costa Azzurra né la bontà dei film proiettati. Certamente ci aiuta a comprendere la pochezza del nostro giornalismo e l’atroce provincialismo che ci attanaglia.