Medietà all’italiana
Continua a imperseverare la cosidetta “neocommedia all’italiana”, che questa volta affronta temi come il precariato e soprattutto ironizza sul dubbio senso artistico di un certo tipo di arte contemporanea.
Si racconta di tre operai licenziati da un pastificio nel Salento, i quali vengono poi riassunti, ovviamente in nero, dal loro vecchio datore di lavoro come guardiani di capolavori di arte povera e concettuale sui quali l’imprenditore ha deciso di investire: i tre, dopo aver visto le possibilità di guadagno, decidono di falsificare le opere e di vendere gli originali. Sembra andare tutto per il meglio, in fondo dipingere di rosso una tela e tagliarla ottenendo così un prezioso Fontana è facile, ma l’imprevisto è dietro l’angolo, e bisogna così organizzare un colpo “scientifico” alla soliti ignoti per rimediare.
Il film di Giovanni Albanese, lui stesso artista e professore di arte contemporanea, non è né meglio né peggio di tante commedie italiane uscite negli ultimi due anni, e come loro soffre di un’evidente mancanza di coraggio e soprattutto di un’inesorabile medietà. È piacevole, ma non troppo; gli attori sono simpatici, ma non eccellono; si ride, ma non più di tanto; non è girato male, ma in modo anonimo; gli spunti per fare satira ci sono, ma non vengono seguiti; insomma, sembra palpabile la consapevolezza e la volontà di tarpare le ali ad un soggetto potenzialmente valido, e di volare bassi.
Tutto questo in un’atmosfera politicamente corretta, musiche etniche al momento giusto e manifesti della C.G.I.L. e di Nichi Vendola su cui la macchina da presa indugia non poco, e buonista che non permette alla commedia di affilare le unghie e graffiare. Alla fine, naturalmente, tutto finisce bene e gli italiani appaiono dotati di grande generosità e di lodevole altruismo, costretti sì all’arte di arrangiarsi e alla truffa per sopravvivere, ma che poi danno, senza pensarci troppo, i mille euro rimasti all’amico immigrato che deve tornare in India per il matrimonio della figlia.
Tra la solita citazione di una grande commedia all’italiana del passato, in questo caso I soliti ignoti in quella che è la scena più divertente del film, grazie ad una Donatella Finocchiaro insolitamente, e deliziosamente, comica, e le panoramiche turistiche sui monumenti e sul mare, rimane una visione del tutto innocua, mediamente gradevole, che forse non fa pentire di essere andati al cinema, ma che si dimentica presto, dopo essersi posti delle domande sul senso di un film che è “senza arte né parte”.