Ritorno al passato
In un mondo sempre più votato alle urla e ai modi brutali e volgari, è insolito ritrovarsi davanti l’opera prima di Giorgia Cecere Il primo incarico.
La Cecere entra nel mondo della regia cinematografica “in punta di piedi”, nonostante una solida carriera alle spalle come sceneggiatrice (per Olmi, Amelio e Winspeare, per citare i più famosi), e regala al pubblico un film intimista, timido, sorprendete e insolito; tutti aggettivi positivi, ma non è tutto oro quello che luccica. Il film è negativamente anomalo rispetto al “nuovo” cinema italiano, in quanto ricorda un certo cinema anni ’80 chiuso in se stesso e con poca inventiva, i chiari riferimenti al cinema dei padri artistici della Cecere rendono il film poco originale e a volte copia carbone di alcune pellicole del passato. Inevitabilmente, la regia, ispirandosi soprattutto a Olmi e Amelio è un sunto di alcuni elementi fondamentali del loro cinema, perdendo un po’ di originalità e stile personale. La vicenda seppur ispirata a fatti reali (la vita della madre della regista), racconta un mondo contadino in cui i personaggi e le vicende rurali sanno di già visto. Lo stile asciutto e lineare della regista, alla lunga risulta fiacco e superato, cosa che fa dimenticare che siamo di fronte a un esordio. Il cinema italiano ha bisogno di nuovi autori che riescano a sperimentare e sinceramente la Cecere in questo pecca un po’; il confronto che viene subito in mente è con Giorgio Diritti che, con Il vento fa il suo giro prima e L’uomo che verrà poi, ha saputo realizzare delle pellicole notevoli e moderne parlando in qualche modo degli stessi argomenti di Il primo incarico, la paura nei confronti dello “straniero” (qui la maestrina Isabella Ragonese) e il racconto del mondo contadino con le proprie regole e i propri principi immutati nel tempo. Ci sono però due elementi, legati in qualche modo tra di loro, da recuperare in questo film: la buona caratterizzazione dei personaggi e l’ottima prova attoriale della Ragonese. La Cecere ha saputo trovare delle facce “contadine” tra i suoi attori non professionisti che, a partire dai tanti bambini, rendono il film quasi un documentario e la Ragonese, giocando di sottrazione, si regala uno dei suoi migliori ruoli cinematografici dopo Dieci inverni. La giovane attrice qui riesce ad esprimere, soprattutto attraverso il corpo, l’inquietudine e l’ingenuità del suo personaggio, sempre fedele ai momenti di ascesa del suo personaggio.
Dispiace dover “bocciare” un esordio, ma al “primo incarico”, a volte, c’è bisogno di essere spronati per cambiare in meglio.