Sperare non è lo stesso che prendere per il culo
Librino, quartiere periferico e degradato di Catania. Manuela ha tredici anni e viene continuamente ignorata e sbeffeggia sia in famiglia che nel salone di bellezza dove lavora come apprendista. Un giorno ritrova la testa perduta di una statua della Madonna. Sostiene che sia stata la Madonna stessa a indicarle nel sonno il luogo in cui era stata nascosta.
Diventa così una specie di santa locale e da quel momento nella sua casa stazionerà un’interminabile fila di persone disperate e credulone che le chiede di tutto: poter partecipare al Grande Fratello, trovare o ritrovare il posto di lavoro, l’amore, fare 13 al Totocalcio. Mentre sua madre Rita sfrutta economicamente la situazione, Manuela vorrebbe solo smettere di fare la santa e tornare ad essere una semplice adolescente ma alla fine un miracolo accadrà davvero.
Roberta Torre, con lo stile pop, grottesco e surreale tipico del suo cinema, mette in scena un bestiario (dis)umano e inquietante che popola tutte le città italiane, non solo quelle siciliane, interpretato da un cast di attori in stato di grazia: la madre cafona, tutta vestitini maculati, bigiotteria e tinte dozzinali, anaffettiva, sfruttatrice e arraffona (Donatella Finocchiaro), il padre buono ma debole e fallito (Giuseppe Fiorello), il parroco opportunista e calcolatore, peccatore reo confesso, sorta di manager/talent scout fissato con l’immagine perché “l’immagine è importante, fondamentale!” (Pino Micol), la sorella maggiore un po’ zoccola che si fa di cocaina (Valentina Giordanella), il politico cialtrone e sessuomane (Tony Palazzo), la parrucchiera/fattucchiera, un po’maga Circe, un po’strega Grimilde, che nel suo salone boudoir almodóvariano cura “le teste dentro e fuori” con tinte rosa shocking, cotonature simili a sculture e lettura dei tarocchi (Piera degli Esposti). Tra loro Manuela, ottimamente interpretata dall’esordiente Carla Marchese, vittima e prigioniera della sua stessa menzogna/dono.
Un Circo Barnum dell’Italia contemporanea descritto con un’irresistibile ironia acuta e dissacrante che non sconfina mai nel cinismo cupo e pessimista di film come Qualunquemente. Anzi, per quanto abbietti siano, la Torre ama i suoi personaggi e alla fine mostra ad alcuni di loro una via per la redenzione. All’interno di un paesaggio urbano, umano e morale così squallido e degradante, l’unico miracolo realmente autentico e possibile sarà il frutto della (ri)scoperta toccante e gioiosa dei sentimenti e dell’affettività, di un’amicizia tanto inaspettata quanto salvifica, di quell’amore e di quei baci materni mai dati e mai ricevuti.