Da così vicino si perde di vista il presente
Eva, licenziata da una fabbrica di Bucarest, va a Melfi, sulle tracce di un segreto tra le sue connazionali emigrate; è ospitata per caso dalla famiglia di Anna, sua coetanea, che lavora alla Fiat per mantenere i genitori e la nonna malata, fino ad un incendio che fa chiudere provvisoriamente lo stabile.
Il blocco del lavoro è per entrambe la molla per volgere lo sguardo a loro stesse; così mentre Eva chiude i conti con le proprie origini, Anna tenta di costruirsi un futuro diverso.
Per il suo primo film Coppola abbandona gli stilemi del documentario che aveva fatti suoi in alcuni lavori precedenti e nella serie targata MTV Avere Ventanni, e sceglie di sottomettere progressivamente il racconto ad una sintassi delle immagini complessa e personale. Ai campi lunghi degli ambienti (le fabbriche, i paesaggi) si contrappongono azioni spezzettate in primissimi piani e dettagli spesso confusi: l’indistinguibilità della visione è fine a se stessa, non lascia ulteriori spazi di senso, mentre la narrazione procede, in modo troppo compiaciuto, per momenti morti e non detti. Si alternano i rumori disturbanti delle fabbriche e i silenzi altrettanto minacciosi, mentre la musica dei Joy Division, quasi guida spirituale per il suo stesso incidentale ingresso nel racconto (l’iPod), fa da commento alle decisioni più importanti delle protagoniste. Le vite di Eva e Anna scorrono parallele, accomunate dall’inadeguatezza nei confronti di un presente che chiude l’orizzonte ad ogni possibilità: ma non basta la reiterazione di gesti, comportamenti, immagini (la doccia, il trucco e il vestito luccicante, improbabili maschere per un’impossibile integrazione) a legare credibilmente le due storie.
Se è indubbio che Coppola intraprende una strada che si discosta dalla medietà del cinema italiano, è anche vero che Hai paura del buio condivide con molti, più ordinari, film nostrani l’incapacità di tradurre una buona idea in una scrittura forte, che sostenga, e non svuoti, le immagini; attraverso risoluzioni didascaliche o poco comprensibili, il film non trova la giusta via, e rimane sospeso tra una ricerca a cui è difficile appassionarsi e un disagio che si percepisce troppo poco.
Forse avrebbe giovato una maggiore dialettica tra le individualità e il presente che le ha originate, ma sarebbe stato per l’appunto un altro film; certo è che mai come oggi, in Italia, è forte l’esigenza di racconti che indaghino a fondo questi nostri tempi bui.