Manifesta superiorità del cinema francese?
Nel baseball c’è una regola unica, praticamente bandita dagli altri sport.
Quando un match è ormai compromesso ed è evidente che una squadra è superiore a un’altra per punteggio schiacciante e agonismo inconfutabile, l’arbitro può sospendere la partita. Dichiara la “manifesta superiorità” (o “inferiorità”, dizione più crudele) e manda tutti a casa. Bene, vista la prima edizione di Rendez-Vous si potrebbe fare lo stesso nel confronto Francia-Italia. La prima edizione del nuovo festival fortemente voluto da Massimo Saidel dell’Ambasciata di Francia e dalla direttrice artistica Vannessa Tonnini, raccoglie il testimone del festival del cinema francese di Firenze e degli eventi primaverili di Roma negli anni passati. La sede è la Casa del Cinema, comoda, bellissima, capace di stimolare l’incontro continuo con addetti ai lavori, registi e attori. E qui, nelle giornate di proiezioni che hanno raccolto il “meglio” della produzione transalpina dell’ultimo anno, appare incredibilmente chiaro quanto la “media” del cinema francese valga di più della nostra.
Alcuni esempi: il divertente e vagamente isterico Copacabana di Marc Fitoussi, con Isabelle Huppert nei panni di una madre sbandata e straordinariamente vitale, e con la vera figlia dell’attrice, Lolita Hummah, nei panni della sua primogenita, assai più tradizionalista e conservatrice. Una commedia dove, pur volendo arrivare dove tutti si immaginano (la riconciliazione tra le due), nulla è scontato, non ci si immagina mai quel che può accadere alla sequenza successiva, e si riesce persino a parlare di crisi economica, etica del lavoro, disagio sociale e molto altro ancora.
Oppure, l’esilarante Le nom de gens di Michel Leclerc, dove una ragazza di sinistra (interpretata da Sarah Forestier, sempre nuda – detto per inciso, quante attrici italiane…etc.?) porta a letto persone di destra per convertirle. Fino a che non incontra un tipo assolutamente qualunque, un esperto di malattie infettive degli animali, con cui stabilisce un rapporto folle. Il tutto shakerato con considerazioni etniche (lei è araba, lui di origine ebrea), dove quel che conta è un discorso metaforico sull’identità della Francia e i rimossi della nazione (si parla anche di Algeria: il papà di lui ci ha combattuto, il papà di lei ne ha sofferto l’occupazione).
Potremmo continuare a lungo, parlando anche dell’opera d’apertura – quell’Angèle e Tony che su Mediacritica recensiamo tra le prime visioni e che però dimostra una volta di più l’assunto – ma ci fermiamo per correttezza. Non è solo colpa del cinema italiano o merito dei francesi. Quel che conta è una cultura complessiva della nazione. L’Italia la deprime da anni. La Francia, pur con la puzza sotto il naso, la difende e la lascia esprimere. Punto.