Tra il vecchio e il nuovo
La rappresentazione sul grande schermo di uno dei classici letterari italiani suscita sempre molta attenzione e curiosità al momento dell’uscita, a maggior ragione se il testo viene temporalmente trasferito da fine ‘800 ai giorni nostri. Malavoglia di Pasquale Scimeca compie questa operazione: attualizza il capolavoro di Giovanni Verga con gli adattamenti del caso.
Come nel romanzo, al centro della vicenda c’è una famiglia di pescatori della Sicilia, poverissima, che a stento riesce a vivere con ciò che guadagna. Per una disgrazia, le barche usate per lavorare vengono distrutte. A questo va ad aggiungersi la morte del capofamiglia, Padron ‘Ntoni, portando così sull’orlo del fallimento i Malavoglia che nonostante tutto non si abbandonano alle difficoltà…
Nel film molta attenzione è posta alla resa fotografica del paesaggio, ripreso affinché i contrasti cromatici risultassero accentuati, donando all’ambiente la giusta importanza nella vicenda, proprio come nel romanzo.
Il regista siciliano torna a filmare un racconto di Verga dopo Rosso Malpelo, questa volta però non si confronta solo con la letteratura, ma anche con la società e la storia del nostro Paese, come era già successo in Placido Rizzotto e Gli Indesiderabili. Malavoglia ha chiaramente intenzione di raccontare i problemi dell’Italia contemporanea, spaziando dall’immigrazione (la difficoltà d’integrazione del giovane Alef, tunisino introdotto all’inizio del film) all’enorme difficoltà di avere basi solide su cui vivere (nulla appartiene ai Malavoglia se non la catapecchia in cui vivono, almeno finché la banca non si prenderà pure quella).
I maggiori difetti della pellicola si riscontrano proprio nella volontà di introdurre la contemporaneità a tutti i costi, le tematiche sopracitate vengono affrontate superficialmente e nella maggior parte dei casi sembrano esser state inserite forzatamente. La vicenda dei Malavoglia viene rappresentata, paradossalmente, in modo troppo idilliaco, non c’è traccia di quella durezza che aveva La Terra Trema di Luchino Visconti, film con cui Scimeca inevitabilmente si è dovuto confrontare, e nemmeno è presente la cosciente asprezza della vita, propria del romanzo.
Il finale si risolve banalmente, cercando di creare un improbabile collegamento tra vecchio e nuovo, risultando così agli occhi dello spettatore l’unica strada percorribile per uscire da una vita di sofferenze e stenti. Troppo facile.