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13° Far East Film Festival: un’introduzione

lunedì 2 Maggio, 2011 | di Filippo Zoratti
13° Far East Film Festival: un’introduzione
Festival
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13° Far East Film Festival, 29 aprile – 7 maggio 2011, Udine

L’Oriente che non c’era
Uno dei termini più frequentemente utilizzati per definire il Far East Film Festival di Udine è “showcase”, la cui traduzione italiana più corretta (ma altresì limitativa) è vetrina.

Non (solo) un festival, non una semplice rassegna; bensì una sorta di scatola magica che può contenere di tutto, da aprire con ottimismo aspettandosi qualunque tipo di sorpresa. Come un regalo ricevuto da una persona cara di cui ci si fida. Ma cosa contiene realmente la kermesse friulana? Cosa promette ai suoi spettatori? Per dirla con le parole di Thomas Bertacche e Sabrina Baracetti – creatori e motori della manifestazione – far-east-film-festival-2011-locandinail FEFF “non è un evento, quanto un progetto che fa dell’esplorazione del cinema pop asiatico la sua missione di studio e scoperta”. Un’attività di ricerca e in eterno viaggio quindi, che riflette in tempo reale i movimenti cinematografici in atto nell’Estremo Oriente. Arrivato al suo tredicesimo anno di vita, il Far East è (come) un adolescente irriverente, che fa le corna contro la cattiva sorte (e anche contro chi in qualche modo le sventure le auspica, ogni riferimento all’assessore alla cultura Elio De Anna e alla sua crociata anti-Far East non è puramente casuale) e persevera nel suo atteggiamento goliardico e spensierato, sfuggendo ogni tipo di inquadramento e seriosità istituzionale. Per nove giorni Udine si fa festa mobile, città in continuo movimento: ci sono i mercati sparsi per le vie; ci sono i dj set notturni (che aprono con Greg Wilson e chiudono con Hercules & Love Affair) e le sfilate dei cosplay; ci sono le feste in piazza con arti marziali e ikebana, oracoli cinesi e musica jazz della Far East Orchestra. E ci sono i film, naturalmente, suddivisi tra la selezione ufficiale – i lungometraggi in concorso sono 50 – e le due retrospettive (il tributo al genere soft erotico di matrice giapponese Pink Wink e la panoramica sul cinema comico asiatico Asia Laughs!, per un totale di 37 pellicole). 87 opere provenienti da 12 nazioni, con le anteprime degli ultimi lavori di Park Chan-wook (Night Fishing, interamente girato con l’iPhone 4) e Zhang Yimou, Johnnie To e Feng Xiaogang, oltre a diversi altri autori divenuti riconoscibili dalle platee internazionali magari proprio grazie al Far East. Un’occasione oltretutto più unica che rara, dato che di norma il cinema d’Oriente è poco e male distribuito in Italia (anche se pare che Rai4 stia trattando per acquisire alcuni titoli che saranno proposti questo inverno). Cosa conta allora per gli organizzatori di questa manifestazione, inserita da Variety tra i 50 festival più importanti al mondo? Conta essere riusciti a realizzare qualcosa che stimoli di anno in anno l’affetto di tutti allo stesso modo, sia che si tratti di pubblico sia che si tratti di registi e addetti ai lavori; conta essere riusciti a creare, pezzetto per pezzetto, un’idea reale e concreta di un continente che altrimenti avremmo continuato ad ignorare o a fraintendere, magari basandoci solo su cliché e convinzioni pre-concette. Ecco cosa fa il Far East Film Festival: dà dimensione e spazio all’Oriente che non c’era, ci aiuta a capire le tendenze e le evoluzioni politiche e culturali proprie di oltre 3 miliardi di persone, partendo dallo straordinario medium cinematografico. Come ricordato nell’omaggio al martoriato Giappone durante la serata d’apertura, “senza l’Oriente non saremmo l’Occidente di nessuno”. Sembra un corto circuito o un gioco di parole, ma non lo è, perchè è solo imparando a conoscere mondi “altri” – geograficamente e storicamente agli antipodi rispetto a noi – che possiamo paradossalmente capire la nostra società passata e futura, costruendo la nostra identità.

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