Cappuccetto color miele
A Catherine Hardwicke deve essere dispiaciuto così tanto non aver potuto dirigere New Moon che non le è parso vero di poter girare un film con un lupo come protagonista.
Doveva essere una versione goth della popolare fiaba, e invece sprofonda subito nella sdolcinatezza più banale e nel citazionismo più sfrenato.
Valerie, seducente ragazza che vive in un villaggio sperduto ai piedi di una montagna, è contesa da due ragazzi, uno bello e pronto a tutto, l’altro dolce e innamorato – dove l’avevamo già visto? – ma il piccolo borgo è minacciato da un lupo (mannaro) cattivo. Viene chiamato padre Solomon per scacciare la bestia e riportare la pace.
La Hardwicke mette troppa carne al fuoco e il film diventa un calderone in cui si trova di tutto: sentimenti, matrimoni combinati, caccia al lupo, caccia alle streghe, si disturba persino la Santa Sede. La sceneggiatura appare troppo frettolosa, smaniosa di dare subito spiegazioni così che ogni accenno di suspense viene immediatamente annullato e i personaggi rimangono appena abbozzati, se non scadono nella macchietta come succede a Gary Oldman, qui nei panni di un santone più che di un uomo di Chiesa.
Il vero problema del film però la totale mancanza di un’idea, non un’invenzione geniale bensì un punto di partenza e d’arrivo, qualcosa da cui ispirarsi e allo stesso tempo aspirare: il risultato è un’accozzaglia di riferimenti e citazioni di altri film, uno su tutti Twilight (della stessa Hardwicke e di cui vengono richiamate le atmosfere e non solo). Si ha la sensazione che la regista, che in questo caso è anche sceneggiatrice, non abbia bene in mente che tipo di film voglia fare e soprattutto cosa voglia trasmettere allo spettatore.
Della fiaba originale a questo punto resta ben poco: dettagli presenti solo in alcune versioni e usati più come vezzo che come effettivi snodi narrativi. E alla fine ci si chiede se era il caso di scomodare un classico come Cappuccetto Rosso per realizzare il film.