L’avventura di Nanni in Vaticano e del Papa a Roma
Nanni Moretti, sedici anni dopo aver indossato l’abito talare ne La messa è finita, entra in Vaticano per raccontare del neoeletto Papa che entra in crisi e deve ricorrere alla psicoanalisi: l’analista scelto è colui che è considerato il migliore, interpretato, ovviamente, dal regista stesso.
Era alta la curiosità su cosa avrebbe prodotto l’atteso impatto tra il morettismo e il vertice, di potere e spirituale, della Chiesa cattolica.
Ne esce un film all’altezza delle aspettative, chiaramente laico, ma comunque rispettoso, che vuole evidenziare l’umanità e le relative debolezze del pontefice e, in generale, degli ecclesiastici: per esempio, i cardinali chiusi in conclave non sono arroganti, e non fanno carte false per salire al soglio di Pietro, ma sembrano al contrario bambini impauriti quando chiedono al Signore di non scegliere loro, nella bella e potente scena in cui la Cappella Sistina rimbomba dei pensieri e delle preghiere in varie lingue delle eminenze.
Habemus Papam è chiaramente distinto in due parti che si alternano, entrambe molto valide, ma anche forse troppo slegate tra loro, tanto da dare l’impressione di assistere a due film diversi: una è ambientata all’interno del Vaticano, ed è dominata dal personaggio Moretti, il quale al contatto con i cardinali, sconvolti e spaventati per la situazione e con paure e debolezze molto “semplici” e quotidiane, regala una summa delle sue manie e dei suoi “topoi”: non mancano frasi, esclamazioni e momenti che entreranno nell’antologia del morettismo, come l’interpretazione psicoanalitica data alla Bibbia, e il memorabile torneo di pallavolo.
La seconda segue invece il nuovo pontefice nel suo peregrinare per le strade di Roma alla ricerca di se stesso: la paura di non essere all’altezza del compito, di non avere abbastanza forza per sopportarne i fardelli, porta il prelato ad una riscoperta di sé, che gli permette di compiere la scelta più scomoda, ma forse più giusta, sicuramente quella più sincera e consapevole.
Il neoeletto Papa è l’evoluzione di don Giulio de La messa è finita: entrambi sono spaventati dalla grandezza tragica delle situazioni e dal contesto che affrontano, davanti a cui cresce l’angoscia di non essere adeguati che porta a scelte di deresponsabilità e di fuga, giudicate però dal regista non con condanna, ma con partecipazione per la triste presa d’atto dei limiti di uomini qualunque a cui l’abito religioso, a qualsiasi livello, non aggiunge forza e capacità.
Tutto questo è raccontato con vari toni: è innanzitutto una commedia, soprattutto nella parte più morettiana, ma non mancano potenti scene solenni e momenti di partecipazione e “tenerezza”.
Un ultimo accenno va al protagonista, l’ottantacinquenne Piccoli, il quale ci fa vedere cosa è un grande attore.