Uno come tanti
Il cinema coatto americano non lascia mai orfani i suoi spettatori. E non riesce nemmeno a sorprenderli.
Storia che si poggia sulla vendetta, protagonista indiscussa assieme a The Rock, che qui si presenta con il suo nome originale come un vero attore, accompagnata da altri elementi presenti costantemente negli action movie: macchine veloci e costose, prigione, tatuaggi su muscoli pompati, sparatorie e sangue. Anche se in aggiunta a ciò che ci si aspetta vi è l’elemento mistico/cattolico, la redenzione in alcuni momenti, e l’idea che anche se Driver (il mestiere da il nome ai tre protagonisti) spara e uccide lo faccia con logica, perseguendo uno scopo, non uccide a caso neanche chi si interpone sulla sua strada. La parte corretta del male. Quel misterioso meccanismo che porta lo spettatore a schierarsi senza esitazioni dalla parte del vendicatore, a cui solitamente hanno ucciso un parente, nel caso specifico il fratello, anche quando toglie la vita con superficialità a violenza a un altro essere vivente. Quel meccanismo che ci fa incitare, mentalmente, a uccidere chi se lo merita, perdendo forse il contatto con la realtà. Eppure al di là della trama scontata, e quindi ben collaudata, qualcos’altro non funziona. L’idea di presentare i tre personaggi principali, Driver, Killer e Cop, per poi seguire le loro vicende e vedere come queste s’intersecano tra loro, non funziona quasi mai. Ogni tanto chi guarda si chiede cosa c’entra questo biondo killer con le gambe segnate da cicatrici profonde, che uccide per hobby, che si fa pagare con un solo dollaro e ha una bellissima moglie bionda. In effetti non c’entra molto. Risulta un personaggio superficiale, di troppo, che non incide nella storia, e che non viene spiegata in toto. Comprendere poi a metà film, la parte “nascosta” della storia, non aiuta la suspense, elemento che non dovrebbe essere sottovalutato mai in un film basato sull’azione e sui muscoli.