A torto o a ragione
I film non iniziano con i titoli di testa; non iniziano con un prologo, né con un’introduzione e nemmeno a racconto già cominciato, in media res.
I film iniziano prima, quando hanno un titolo: una frase e il film si espone, si descrive; ma più di ogni altra cosa, il titolo è il primo momento di riflessione per chi guarda o deve ancora guardare, la prima intenzione instillata. Ne sa qualcosa You Don’t Know Jack (film per la tv andato in onda nel 2010 negli Stati Uniti e in marzo 2011 in Italia su Sky). Per chi ha sentito parlare di Jack Kevorkian è un titolo e una provocazione, per gli altri è un titolo e uno slogan che invita alla visione. “Tu non conosci Jack” però è soprattutto una verità, una dichiarazione che invita gli uni e gli altri a non avere una posizione senza dubbi, a ragionare intensamente sulle proprie prese di coscienza. Ma chi è Jack Kevorkian? Un medico americano che dal 1990 al 1998 ha praticato il suicidio assistito a centotrenta pazienti terminali. Il film descrive questo periodo della sua vita, dalla decisione di assumersi la responsabilità del suicidio assistito fino all’iniezione letale per esaudire la volontà della sua ultima “vittima”. Il gesto verrà filmato e trasmesso in tv per sensibilizzare una legge che legittimi il diritto dei pazienti terminali all’eutanasia. Kevorkian non riuscirà a dimostrare la non colpevolezza del suo agire davanti alla giustizia: condannato a venticinque anni di reclusione per omicidio di secondo grado verrà rilasciato nel 2007 per buona condotta. You Don’t Know Jack termina tra i silenzi significativi della prigione, anche se Kevorkian dopo il rilascio ha proseguito il sostegno al suicidio assistito e alla difesa della cultura armena, e nel 2008 si è candidato come indipendente al Congresso degli Stati Uniti. Ma questa è solo la biografia, un cumulo di fatti oggettivi che non risponde al titolo del film. E allora, di ritorno, ecco la domanda, chi è Jack Kevorkian? Cosa c’è da scoprire superando l’etichetta di “dottor morte” e di “dottor Frankenstein”? Un pittore; un solitario con i sensi di colpa per la morte della madre; un’origine armena sofferta; un ateo che dice sempre la verità e ha come dio Bach, però si lascia scappare a una morente Susan Sarandon “dì a Margo che le voglio bene”, riferito alla sorella defunta; un dottore che segue fino in fondo il suo mestiere perché “tengo all’integrità più che alla vita”; un rivoluzionario per gloria e per egoismo forse, ma anche per solidarietà, tanto da finire in carcere per un ideale. Come ottenere tutte queste sfaccettature? Concedendo ad un Al Pacino immenso di interpretare un ruolo complesso, scoprendo la persona e non il personaggio, e rispettando l’insegnamento più profetico di Quarto Potere, un insegnamento lungo settant’anni che rende sempre indefinibile l’essenza del film biografico: non limitare la vita al resoconto di una vita. You Don’t Know Jack è cinema biografico ma con una dignità impregnata di concretezza, senza lusinghe al pathos o a metafore esistenziali. Contano i fatti, l’uomo, il tema dell’eutanasia come diritto per il paziente terminale e dovere per i medici; conta la messa a fuoco di una vita a contatto con la morte, e quindi di una macchina da presa che filma l’eutanasia non come un discorso argomentativo da sostenere o rifiutare, ma come una scena di morte che non va commentata, esplorando la forza estetica dei silenzi, i primissimi piani degli occhi e le fotografie che diventano testimonianza narrativa del passato e del presente di un paziente esanime. Raramente Barry Levinson ha lavorato così tanto alla compatibilità tra forma e contenuto. Il suo cinema, sempre raccolto e intimo, mai voluminoso, critico sempre a partire dall’umorismo per non dimenticare la commedia nel dramma, stavolta si risveglia nell’età adulta, in una maturità cinematografica integra e sensibile che non giudica ed è ancorata a filmare l’enorme responsabilità esistenziale di Jack. Una maturità che coglie l’eutanasia aldilà delle nostre reazioni emotive e mira ai limiti della giustizia: la legge è uguale per tutti, non importano le ragioni dell’eutanasia se un ordinamento non le prevede, perché bisogna seguire una legge anche se sbagliata. Ma fino a che punto un uomo può ubbidire a una legge che considera sbagliata restando in pace con se stesso? Socrate è morto per rispettarla pur di non tradirla, Kevorkian ha scontato una pena per non accettarla. Voi, cosa fareste?
You Don’t Know Jack [id., USA 2010] REGIA Barry Levinson.
CAST Al Pacino, Danny Hutson, Susan Sarandon, John Goodman.
SCENEGGIATURA Adam Mazer. FOTOGRAFIA Eigil Bryld. MUSICHE Marcelo Zarvos.
Biopic Drama, durata 134 minuti.