Una storia semplice
Offside, a prima vista, sembra un film che più semplice non si può: Panahi, srotolando quel neorealismo iraniano tanto di moda qualche anno fa, pedina i suoi personaggi all’interno di uno stadio, un po’ come fece nel Leone D’oro del 2000, Il cerchio, dove inseguiva le sue protagoniste per le strade di Theran.
La storia si svolge, quasi rispettando le aristoteliche unità di tempo e luogo, durante la partita di qualificazione della nazionale di calcio iraniana ai mondiali di calcio 2006.
Del 2006 è anche Offside, lungometraggio premiato a Berlino con l’Orso d’Argento proprio quell’anno. Con gli scontri del 2009 di là da venire – per non parlare delle rivoluzioni arabe degli ultimi mesi – il quarto lungometraggio di Jafar Panahi può permettersi di adottare un tono più leggero e scanzonato di quello visto nei suoi precedenti lavori, arrivando ad invadere, ben più di una volta, i territori della commedia. Cinque anni dopo, purtroppo, Panahi è confinato agli arresti da un regime che vuole impedirgli di girare film per altri 20 anni, cioè per sempre, e il finale denso di ottimismo e di esplosione gioiosa su cui si chiude Offside può risultare fuori luogo e un po’ naif.
Ma, si diceva, la pellicola è molto meno banale di quel che appare: con la straordinaria abilità che già gli conosciamo, il regista iraniano segue ora un personaggio, ora un altro, mutando con estrema disinvoltura il punto di vista del racconto. Mentre sullo stadio di Theran scende lentamente un tramonto scandito dall’unica colonna sonora dei cori dei tifosi, lo spettatore scivola dai panni della ragazzina inesperta che si introduce, vestita da uomo, nell’arena sportiva per la prima volta, a quelli dell’ufficiale di campagna, che, quasi controvoglia, tiene separate dagli uomini quelle giovani donne testarde, senza comprendere davvero il motivo di tanta ostinazione per una semplice partita di calcio. Un camaleontico trasformismo di sguardi che si rispecchia nella molteplicità di travestimenti messa in atto dai personaggi: femmine e maschi si confondono, rivelando, con molta più evidenza di tante parole, l’assurdo che si nasconde dietro ogni discriminazione.
Così, è proprio l’inusitata scelta di dedicarsi ad un tema apparentemente “leggero” a ribaltare l’assunto di partenza e a conferire al film la forza ricercata: Offside è semplice perché semplice e scontata dovrebbe essere la verità che propone. Una verità che potrà anche essere ingenua, ma che Panahi dipinge di colori entusiastici e spensierati, restituendo una vitalità che contagia oltre lo schermo.