FilmForum Udine/Gorizia 5-14 aprile 2011
Tscherkassky
Nella seconda serata del FilmForum/Spring School di Gorizia è stata presentata una piccola rassegna dedicata a Peter Tscherkassky dove sono stati proiettati alcuni dei lavori più significativi del noto filmmaker austriaco: Happy End (1996), Outer Space (1999), Instructions for a Light and Sound Machine (2005), Coming Attractions (2010), cui è seguito un dibattito con l’autore.
Artista che rifiuta di creare attraverso mezzi digitali, Tscherkassky rimane fedele al metodo analogico e mantiene, come punto di partenza di tutte le sue opere, il tavolo da lavoro nella sua camera oscura. Questo attaccamento alla pellicola si traduce in un forte senso di materialità che lo spettatore percepisce in tutti i suoi cortometraggi e che lo accomuna al lavoro di Eve Heller, di cui sono stati presentati alcuni lavori nella stessa serata.
Prodotto d’avanguardia, l’opera di Tscherkassky è di difficilmente definibile, tuttavia ciò che si avverte distintamente è il grande amore per il cinema e la sua rielaborazione entro nuove forme. Cinefilia e avanguardia trovano una perfetta unione in Coming Attractions, dove lo svelamento della finzione è uno dei suoi punti chiave.
Il cinema è il punto di partenza per una riflessione che porta alla sovrapposizione diversi piani del reale e del sogno. Outer Space è questo. La messa in discussione della realtà porta allo scontro e quindi alla fusione di esistenze diverse che moltiplicano il personaggio all’interno della stessa inquadratura. Gli spazi si moltiplicano e il piano temporale non segue un filo logico, dall’oscurità emergono immagini che colpiscono lo spettatore lasciandolo inquieto.
La rilettura del cinema non si ferma solo ai suoi dispositivi ma anche la poetica di singoli autori, come succede con Sergio Leone in Instructions for a Light and Sound Machine dove l’epicità de Il Buono, il Brutto e il Cattivo viene enfatizzata dilatando i tempi a dismisura.
L’universo del cinema è la base per la messa in discussione della realtà, come dimostra l’uso del found footage, e l’introduzione di elementi della pellicola all’interno dell’immagine non fa altro che sottolineare questa funzione meta-cinematografica.
Per Tscherkassky il montaggio è lo strumento di significato per eccellenza: “Ho la possibilità di creare significato 24 volte a secondo”. Così si spiega la volontà di realizzare opere nervose che presentano numerosi tagli della durata di pochi frames; le veloci alternanze di bianco e nero creano un effetto straniante, quasi epilettico.
La consapevolezza di realizzare arte con qualsiasi elemento si traduce in opere molto complesse e allo stesso tempo di grande impatto (anche grazie ad un’accurata realizzazione della colonna sonora) che riescono ad avvolgere lo spettatore in visioni immaginifiche.
Massimo Padoin, Barbara Busato