“Milano da bere” annata 2011 – azienda Vanzina
Sarebbe facile sfruttare il gioco di parole suggerito dallo stesso titolo, parafrasandolo in Sotto la pellicola niente – l’ultimo film per colpire l’ennesima fatica dei Vanzina, come fece la critica 26 anni fa con l’omonimo precedente.
Ma perché scadere nell’ovvio, quando invece ci si può soffermare sul buono che (quasi) ogni pellicola porta con sé? Proviamoci.
Quel che colpisce di questo L’ultima sfilata è la scelta di uno stile narrativo e registico coerente con il vacuo mondo diegetico dell’alta moda milanese, dove una modella all’apice della carriera viene travolta da un pirata della strada subito dopo una sfilata di grande successo.
La superficialità comunemente attribuita all’universo delle passerelle viene mostrata sullo schermo lasciando la macchina da presa a un livello esterno alla vicenda, come fosse un osservatore privo di giudizio che racconta il susseguirsi dei fatti e l’escalation di morti senza esserne coinvolto.
A salvare il film, oltre che la modella-sostituta-copia identica della morta, ex fioraia italo-svedese, è l’ispettore incaricato delle indagini, interpretato dal già testato Francesco Montanari in Romanzo Criminale – la serie, il quale caratterizza l’eroe del quotidiano, il poliziotto che ama il suo mestiere ma anche la sua vita al di fuori di esso, che vive da comune mortale e che da comune mortale risolve il caso fondato sulle comuni emozioni umane, presenti anche in quell’austero mondo fatto di stoffa, soldi, droga e possibilità, e anzi forse enfatizzate proprio dagli estremismi che quello stesso mondo comporta.
Se i personaggi dell’ispettore e della modella-sostituta (Vanessa Hessler) si arricchiscono di una recitazione spontanea e non impostata, quelli invece degli interpreti stranieri subiscono un duro colpo al doppiaggio, perché privati di cadenze e inflessioni che avrebbero aiutato a definire meglio specialmente i caratteri di Heidi l’assistente e di Bruce il compagno. E se la sorella del grande stilista rimane in secondo piano per tutto il film, perché non lasciarcela anche alla fine, risparmiandole così un grottesco monologo finale degno solo della peggior soap-opera messicana, alle cui rivelazioni il pubblico ci arriva senza bisogno di didascalie e forse anche già a metà del film?
Tralasceremo questi dubbi e anche quelli relativi alla reale necessità delle location estere (d’altronde ogni troupe merita una trasferta ogni tanto) e cercheremo invece di apprezzare gli sfarzi e le ricchezze non eccessivamente ostentati, l’apparentemente normale vacuità dell’esteta, l’inevitabile quotidianità bruciata dell’alta borghesia. Perché la vuotezza del film è congrua al vuoto di questo mondo. Perché i Vanzina l’hanno fatto apposta così il film, no? No?