Buddha e Siddharta per un altro ruolo
Tutto diventa lecito se fatto a fin di bene?
Questo è quello che sembra suggerire il film, già a partire dal titolo: Nessuno mi può giudicare.
Spesso la commedia con colori semplici e una comicità innocua ci vuole parlare della nostra società; ovviamente per rendere le tematiche accettabili si tende a estremizzare tutto verso il grottesco, riproponendo così un’immagine distorta. E’ quello che fa questo film. Un instant-movie che parte proprio dalle pagine della nostra più attuale cronaca (le escort e le feste dei politici) per porci davanti agli occhi un’Italia che non esiste. Le periferie multietniche della città vengono inebriate da un’atmosfera “Mulino Bianco” cosicché il-piccolo-Filippo-di-nove-anni non sente più la mancanza della Roma bene, e abbandona tutto contento il solitario videogame per le chiacchiere con i più grandi, le partite a calcio con gli amichetti della scuola pubblica, le cene all’aperto, le feste e gli intrattenimenti canori.
Tutti sempre sorridenti e contenti: un semplice trucco cinematografico per far credere che l’unica cosa importante – e la sola veramente desiderata dal piccolo Filippo quando inizia a cantare Se mi vuoi di Pino Daniele – sia la felicità di una vita semplice e genuina con mamma e papà! In fondo Alice (Paola Cortellesi) accetta il ruolo della escort, sotto la guida pratica e spirituale della già avviata Eva (Anna Foglietta), solo perché è un impiego che permette di guadagnare molto in poco tempo; per pagare i debiti lasciati dal marito morto (prima grande imprenditore ed esegeta di sanitari) e per non vedersi portare via il figlioletto dai servizi sociali. In fondo Giulio (Raul Bova) accetta l’assegno della facoltosa Eva solo per non dover chiudere la propria attività; ma così facendo è costretto anche a perdonare i tradimenti a fine di lucro di Alice, lasciando finalmente Biagio (Valerio Aprea) libero di abbandonarsi all’impeto delle manifestazioni-d’amore-reality-show della sua ex-compagna, e mostrandosi così incoerente.
A salvare il film c’è solo la bravura di Paola Cortellesi (divisa tra cinema, teatro, spot, ruoli drammatici, e conduzioni televisive) nel farsi, in questo caso, elegante signora della Roma bene. Lontana dagli ambienti più signorili continua a mostrarsi leggera, sottile, gentile. Il personaggio e il proprio ruolo, fuori dal contesto d’appartenenza, diventano comici. La signora della città è ora costretta a vendere il proprio corpo. Deve, tra una massima di Buddha e un aforisma di Siddharta, imparare ad indossare un’altra maschera e a impersonare un’altro ruolo. Ed è solo questa la comicità.