Fenomenologia della (r)esistenza
“Pensare, immaginare, sognare di combattere”. Un ring: sangue, sudore, muscoli guizzanti, il corpo-luogo, il mito.
Micky/Mark Wahlberg e Dickie/Christian Bale (premio Oscar come attore non protagonista): pugile il primo, suo allenatore il secondo, ma sopratutto fratelli.
Si amano, si odiano, duellano ai bordi, alle corde della vita: l’uno picchiatore, l’altro sulla difensiva, ma sempre uniti indissolubilmente. The Fighter, una storia vera, firmata David O. Russell, racconta passione e resurrezione dei Cinderella man.
Wahlberg, “cenerentola” dal corpo perfetto, gonfio di rivincita e desideroso di una seconda chance, la conquista e la ghermisce. Bale, dimagrito, interpreta un disperato alla deriva, sfinito dall’esistenza, un combattente bad-boy, condannato al carcere e alla disfatta, senza possibilità di rinascita.
Con un abbraccio fagocitante la famiglia, con cui con-divide tutto – vita privata, allenamenti, incontri – lo stritola, minandone la personalità. Una madre/manager virago, un fratello/allenatore tossicodipendente gli modellano la vita addosso, gli dicono cosa è meglio per lui: l’importante è la squadra, non il singolo. In questo modo Micky viene messo ko, con pugni al fianco, sinistri ben piazzati, e, nonostante la famiglia, la fidanzata, l’America, è solo più che mai, alla ricerca di un “podio” nel mondo.
Quando combattono ciascuno il proprio match – l’uno contro la droga, l’altro contro l’avversario – lo spettatore è lì, con loro, che incassa, si contorce, è messo all’angolo, si fa medicare. The Fighter, la boxe, è epifenomeno dell’esistenza: a volte si è Micky, i suoi muscoli, la sua tenacia, altre ci si impossessa del “luogo” Dickie, del suo corpo “tirato”, tarantolato, dei suoi errori.
Di questo film non è la perfezione che conquista; tra “santi” e falsi “dei” siamo immersi in quest’“anello” – che è resistere per esistere – nell’impeto, nel martirio di questi due “poveri cristi” che non si arrendono mai, che combattono con se stessi e con la Vita.