Incognito
In una grigia e innevata Berlino si svolge un omaggio a Polanski e Hitchcock tra scene pacatamente tedesche e attivamente americane, che richiamano alla mente tristi capitoli della storia contemporanea invertendo stranamente le parti.
Il dottor Martin Harris giunge a Berlino con la moglie Liz, per un importante convegno di biotecnologia grazie al quale le sorti del mondo potrebbero cambiare. Finanziatore del progetto da presentare e ospite è un principe arabo che sembra essere nel mirino di un “intrigo internazionale”, ma le cose non sono sempre come sembrano.
E anche se la risoluzione del film è suggerita sin dall’inizio, lo spettatore si perde in vedute aeree, in stati d’animo di “vertigine”, nello spaesamento non tanto ambientale quanto psicologico del soggetto. Un imponente Liam Neeson, deformando “habitus”, esprime l’incredulità e lo spavento nel quale potrebbe cadere un qualsiasi essere umano in quelle condizioni. Una costante pseudo-amnesia, che pone in crisi l’identità di un individuo – ciò che di fatto lo rende unico, reale, vivo – perseguita il protagonista. Ma perseguitato è anche lo spettatore che intuisce il ruolo della figura femminile della moglie, ma non quello del dottor Martin, tradito persino dal migliore amico che pacatamente gli svela la sua “non identità”, la sua inesistenza. “Nessuno” sembra essere tornato ancora una volta per sconfiggere il male con un saggio consiglio: “l’importante non è quello che si è o si è stati ma cosa si decide di essere”.
E qui interviene il lieto fine, lanciando anche una proposta d’interesse internazionale per sconfiggere la fame nel mondo e lasciando intendere che gli uomini possono cambiare, anche da adulti.
Le immagini diventano barcollanti: rendono l’idea dell’instabilità nella quale gli altri ci possono fare cadere; i flash-back sono quelli di una vita che si è sognata e/o desiderata al posto della propria; l’acustica è ovattata. Anche se, come si è detto, il film gioca fin dalle prime battute a carte scoperte, lo spettatore ha la possibilità di non crederci e di lasciare scorrere una storia solo abbozzata che, dopo la visione, potrà concludersi in personali riflessioni su come avrebbero potuto sviluppare o non sviluppare questo o quello stato d’animo.