La notte degli Oscar sembra aver avuto un vincitore certo, Il discorso del re di Tom Hooper. La critica è già spaccata. Chi non ama il cinema inglese – quello corretto e solido senza sbavature – trova il palmarès molto conservatore. Chi invece è in cerca di buon cinema vecchio stile e di contenuti forti, è ben felice dell’esito degli Academy Award.
La dialettica pare, in verità, molto sterile. Il cigno nero era senza dubbio il film più visionario di tutti, ma possiede un numero di nemici acerrimi che ne hanno detestato gli psicanalismi di maniera. E Il Grinta, che pure ha commosso il grande pubblico, ha riconfermato i fratelli Coen come troppo teorici per l’Academy. Il vero sconfitto è dunque The Social Network, forse la pellicola che più di tutte ha indagato la contemporaneità e il nostro modo di porci in comunità tra di noi, gli uni con gli altri. I meriti del film, agli occhi dei giurati, si sono diluiti fino a diventare incerti, e – come spesso accade agli Oscar – il film in testa alla corsa giunge al traguardo ormai spossato.
Difficile decidere se c’è una “tendenza” dietro a questi Oscar. Di certo, almeno, possiamo dire che il periodo dei premi dati a film tronfi e retorici come Momenti di gloria, Rain Man o Braveheart è definitivamente archiviato. D’altra parte, si continua a premiare un ristretto numero di film solidamente in mano alla grande distribuzione. Il confronto tra Oscar e Sundance, tra cinema prodotto dalle Major e cinema semi-indipendente, rischia di creare due “scuole” filmiche spesso irrigidite e gerontocratiche. Inoltre, Il discorso del re è cinema inglese, e l’anglofonia dei candidati rimane un ostacolo del tutto incomprensibile, se non è limitato agli Stati Uniti.
E se di mancanza di coraggio si deve parlare, allora questa si è rivelata nel non aver premiato Toy Story 3 come film a tutti gli effetti, senza relegarlo tra i cartoon. Quella scelta, sì, avrebbe messo d’accordo tutti.